Caterina mi aveva consigliato di attendere fino alla conferma del nuovo posto, prima di parlarne a Willy. Era il consiglio giusto, però faticavo a resistere.

Caterina era abituata a resistere, faceva footing. Aveva cominciato per la linea, ma poi credo che non potesse più farne a meno, era diventata un'abitudine che la rilassava. Usciva due volte la settimana e correva per tre quarti d'ora. Ogni volta mi diceva che era stata un po' di meno, o che aveva allungato un po' il giro. Arrivava a casa con la faccia rossa, poi faceva gli stiramenti e la doccia, diceva di sentirsi bene.

Io non l'ho vista scappare quel pomeriggio quando sono arrivati, ma credo che lei abbia urlato e poi sia scattata in piedi e abbia cominciato a correre. Credo sia stata una degli ultimi a cadere. Mi piace pensarla così, che corre sotto il sole, lasciando ampie orme sulla sabbia rovente, cadendo poi rialzandosi. Magari è arrivata alla pineta, o agli alberghi prima di essere...

- Eh no! - disse una ragazza. La ragazza aveva un figlio bianco come il latte e Dani l'aveva spinto a terra.

- Dani! - dissi io mentre la ragazza tirava su il piccolo.

- Vivace la sua bimba - disse la giovane madre. Quel vivace non mi piacque e pensai che la ragazza era più adatta a posare per una pubblicità di biancheria intima che per rimproverare Dani.

- Quanto ha?

- Tre anni, ma non è mia fi... - e dovetti correre dietro a Dani che si stava allontanando. Lasciai la ragazza e il suo bambino. Non avranno fatto nemmeno un metro credo. Gambe da lingerie, ma non buone per correre.

Cerco di ricordare le facce, di quegli ultimi metri, le facce ultime che ho visto, ma non ne ricordo nessuna. L'ultima è proprio la ragazza con il bambino, ma ricordo solo le gambe e il costume bianco rigonfio sul pube. Niente faccia.

Oltre a quelli che passeggiano senza sosta e senza meta, ci sono quelli che stanno a guardare. Seduti o in piedi guardano come le sentinelle in una colonia di babbuini.

Alcuni guardano le femmine, altri confrontano i cuccioli; la maggior parte guarda il mare al largo.

- Ho cete - disse Dani

- Hai sete? E cosa vuoi?

- Geato.

- Il gelato non è da bere.

- Geato.

- Andiamo a prendere il gelato - dissi cercandole la mano. Dani me la diede, cosa che non ero riuscito a ottenere da che avevamo iniziato la passeggiata ciak ciak.

Il carretto dei gelati era grande e bianco con le ruote di gomma nera. Lo spingevano due ragazzi robusti e abbronzati. Indossavano una maglia rossa, come le scritte GELATI ai lati del frigo-mobile.

- Che gusto vuoi? - chiesi a Dani.

- Geato - disse lei sicura.

Presi una pallina di vaniglia. Uno dei due ragazzi si allontanò con qualcosa in mano e Dani rovesciò la coppetta all'istante. La pallina di gelato cadde nella sabbia e Dani tentò di prenderla con la mano. Io la bloccai a mezz'aria, lei si mise a piangere. M'inginocchiai vicino al carretto dei gelati, raccolsi la pallina di gelato rivestita di sabbia e con il cucchiaino di plastica cercai di pulirla. Dani piangeva e io cominciavo a essere stufo di accudirla.

Ero tutto concentrato sulla pallina sporca che si scioglieva e mi colava lungo la mano. Avevo le dita attaccaticce e Dani che piangeva. Poi non la sentii più piangere e pensai che alle volte bisogna proprio ignorarli i bambini.

Sentii le urla. Le urla aumentarono d'intensità e velocità. Mi sporsi dal carretto e vidi la gente nuda correre verso la pineta. Mi ricordò quando alla colonia marina la direttrice fischiava il bagno e tutti i bambini correvano urlando verso le onde. Ora correvano dalla parte opposta, qualcuno cadeva e era calpestato, ombrelloni ribaltati, sdraio divelte. Bambini trascinati a mezz'aria.