- Migliaia di anni di pace, - replicò Leto - Ecco cosa darò loro.- Ristagno! Istupidimento!
- Naturalmente. E quelle forme di violenza che io permetterò. Sarà una lezione che l'umanità non dimenticherà mai.
(da I Figli di Dune, Editrice Nord 1977, trad. di G. Cossato e S. Sandrelli)
Che risultati avrà la lezione di Leto si scoprirà nel quarto libro della saga, da cui SciFi Channel al momento non sembra intenzionata a trarre una miniserie.
E ancora, il rapporto tra i due gemelli è molto più paritario nel libro che nella miniserie. Harrison ha fatto di Leto il protagonista principale alterando il binomio tra lui e la sorella che Herbert al contrario mantiene attraverso tutto il romanzo. Il ragazzo originariamente ha un ruolo più attivo, ma non più importante di Ghanima, che ne è la perfetta controparte riflessiva. In Frank Herbert's Children of Dune Ghanima ha comunque un ruolo cardine ma, a causa dei tempi e dei meccanismi narrativi propri della televisione, è meno approfondita in favore di Leto, cui cede alcune tra le battute migliori del romanzo.
Dopo le critiche, veniamo ora ai successi della produzione. Fiore all'occhiello della miniserie sono gli effetti visuali e i risultati ottenuti dagli artisti al lavoro dietro le quinte; guardando I Figli di Dune non si può fare a meno di restare catturati dal mondo che sono riusciti a portare sullo schermo. Le calde luci dorate di Arthur Reinhart sono perfette per illuminare i deserti di Arrakis, assolutamente credibili sebbene quasi tutti realizzati in computer graphics. La musica originale di Tyler, le scenografie di David Mateàsko e i set di Mari Raskova concorrono alla realizzazione di una produzione televisiva di qualità rara, ulteriore dimostrazione che ormai il piccolo schermo può uguagliare in ricchezza produttiva il cinema. Alcune ingenuità negli effetti speciali e nei costumi non penalizzano un risultato finale visivamente incantevole.
L'uso della luce in particolare scandisce il ritmo di una narrazione che sembra adattarsi al susseguirsi dei diversi ambienti, facendosi più pacata nelle scene ambientate alla luce abbacinante dei paesaggi desertici, più serrata all'interno dei palazzi e un po' inquietante nei sempre misteriosi Sietch dei Fremen. Splendida soluzione creativa degli autori, questo walzer narrativo incanta lo spettatore riuscendo a comunicare esattamente quella sensazione di fluido alternarsi di personaggi e situazioni che si ha leggendo il romanzo.
Le vere rivelazioni della miniserie sono comunque i giovani attori che interpretano i gemelli protagonisti, James McAvoy (Leto) e Jessica Brooks (Ghanima): entrambi poco più che ventenni, interpretano i figli di Paul Atreides all'età di circa sedici anni. Nel libro i bambini hanno in realtà solo nove anni, cosa che esaspera il senso di alienazione che li circonda a causa della loro condizione di pre-nati. Tra gli altri protagonisti ricordo la Lady Jessica dell'ottima Alice Krige, interpretata con estrema raffinatezza e attenzione e Susan Sarandon, grande attrice, nei panni di Wensicia Corrino forse a lei poco congeniali.
Tornando ai gemelli, non si può evitare di pensare che l'età dei protagonisti sia stata alzata almeno in parte per la precisa volontà di comunicare meno disagio nella descrizione di un rapporto che supera i normali legami fraterni. Infatti, anche se i due non hanno mai un'intesa fisica condividono le memorie dei loro famiglia per decine di generazioni, incluse quelle dei loro genitori, e sono uniti da un legame difficilmente classificabile. Nel libro questo speciale "senso di appartenenza" è trattato esplicitamente più volte, mentre nella miniserie i riferimenti scompaiono e la comprensione del senso di complicità e di perfetta complementarietà tra i personaggi dipende unicamente dalla bravura di James McAvoy e Jessica Brooks, entrambi ottimi nei loro ruoli. I due sembrano aver colto il libro alla perfezione offrendo a noi spettatori un Leto intrigante ed efficace e una Ghanima dolce e intelligente, saggia e attenta.
In conclusione, per quanto suscettibile di critiche il lavoro di John Harrison resta forse il più attento tentativo di trasposizione su schermo di una grande storia di fantascienza letteraria. A lui va riconosciuto il merito di aver promosso una sfida rischiosa integrando creatività e rispetto per l'opera originale, un buon cast e una buona troupe. Se altri produttori decidessero di tentare altrettanto la televisione potrebbe offrire produzioni di maggior qualità.
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