Dopo un mese di permanenza nel Labirinto, i sei uomini avevano visto avvicinarsi il problema del cibo con crescente preoccupazione. La gelatina nutritiva, viscida, insapore, ma perfettamente assimilabile, era caduta letteralmente come manna dal cielo. Erano tornati all'avvallamento nella speranza di raccoglierne dell'altra. La loro attesa era stata frustrata a lungo. La colonnina metallica era ricomparsa, all'improvviso, solo due settimane più tardi. Era stato subito chiaro che non avrebbero potuto contare su di essa per sopravvivere. Ma l'esistenza di quel piccolo obelisco traslucido suggeriva che potessero essercene degli altri, nascosti qua e là, sotto le cupole. Il problema, a quel punto, diventava trovarli.

La scoperta dei Condotti aveva impresso una svolta decisiva alla vita dei sei uomini. Il Labirinto era una prigione attiva, che non si limitava a "trattenere" i suoi ospiti ma ne influenzava l'esistenza attraverso una serie di rigide regole di comportamento. Nelle settimane successive, gli Assaltatori avevano dovuto scoprirlo a proprie spese.

Sotto ogni cupola c'erano parecchi Condotti (erano arrivati a trovarne fino ad una dozzina). Tutti erano perfettamente mimetizzati. Tutti si sollevavano a intervalli irregolari, imprevedibili, e sparivano subito dopo. Concepiti in modo tale che non si potesse mai fare affidamento su di essi. La gelatina era sempre poca. E il Condotto da cui la si prelevava ricompariva dopo molto tempo. Per poter sfruttare adeguatamente i Condotti del Cibo bisognava impegnarsi in una continua ricerca, trovarne sempre di nuovi. Rassegnarsi a lunghi appostamenti. Era una versione ultramoderna della caccia primordiale. L'inseguimento della preda. L'agguato. L'uccisione. E come nella caccia più primitiva, la ricerca costringeva il predatore ad essere sempre in movimento. Sempre sulla pista. Una vera e propria pratica di vita che il Labirinto imponeva ai suoi ospiti senza concedere alternative. Un sistema che riduceva l'esistenza alla sua essenzialità animale. Procurarsi il cibo. Difenderlo. Sentirsi contenti d'esserci riusciti ancora una volta.

Quella della "difesa" era una necessità che i sei uomini avevano scoperto quasi contemporaneamente ai Condotti. Nei meandri del Labirinto erano rinchiusi molti esseri intelligenti di varie specie. Poiché, per sopravvivere, tutti dipendevano strettamente dalla gelatina azzurrognola, si creava una situazione che Obermayer, un giorno, aveva definito con felice intuizione delle belve attorno alla carogna, o allo stagno. Trovato un nuovo Condotto del Cibo era facile scoprire che, nelle vicinanze, c'era già qualcuno che aspettava il dischiudersi del prezioso scrigno. A quel punto bisognava imporre la propria forza. Difendere il territorio. Scacciare il concorrente. O ucciderlo.

All'inizio, questo era risultato relativamente semplice. Il loro numero, l'addestramento e l'equipaggiamento da guerra avevano dato ai sei uomini un consistente vantaggio. Ma poi il gruppo si era assottigliato. Poco a poco, difendere il territorio era diventato sempre più difficile. Quando gli ultimi superstiti della pattuglia si erano divisi, alla morte di Miller, ciascuno di loro aveva dovuto rendersi conto che cacciare da solo era infinitamente più complicato. Più brutale. Più pericoloso. Allora Ary Blomqvist aveva cominciato a odiare il Labirinto. Per la sua inutile prepotenza. Per la sua impersonale crudeltà. Era stato allora che aveva cominciato a concepire il piano. Da prima cautamente. Poi con sempre maggior convinzione. Ormai non nutriva alcuna speranza di uscire vivo da quella prigione. Ma c'era una cosa che il tempo, la volontà e il suo equipaggiamento gli avrebbero, forse, consentito di fare.