Una fitta lancinante lo strappò a qualsiasi pensiero. Si accasciò con una smorfia. Batté di nuovo sul tastierino. Nella nebbia che gli stava riempiendo il cervello, gli sembrò di avvertire sotto l'ascella il contatto freddo della siringa a pressione che gli iniettava qualcosa. Il computer crepitò. L'Assaltatore sentì di nuovo il contatto con la siringa. La JJ continuava a lampeggiare freneticamente ai margini del suo campo visivo, dove tutto stava svanendo nella nebbia. Tunf! Terzo tentativo della siringa che sembrò mordergli la carne quasi con disperazione.

Non ce la fa pensò Ary, in una specie di delirio semicosciente Non riesce a trovare l'antidoto.

Si tirò di nuovo in ginocchio, ansimando. Staccò dalla cartucciera dalla tuta la sua ultima atomica D. Digitò faticosamente la sequenza di attivazione. Fece uno sbaglio. Dovette annullarla. Riprovò, sbagliò di nuovo. Finalmente formò la sequenza giusta. Cominciò a trascinarsi verso il Condotto del Cibo (tunf: quarto tentativo della siringa). Si fermò con un gemito, per una fitta improvvisa che sembrò squarciargli lo stomaco. Si rimise in movimento, mentre ogni singola cellula del suo corpo sembrava volerlo trattenere. Mentre la nebbia diventata grigia, e il respiro si faceva pesante. Un metro. Un altro. Un altro ancora. Cadde per la terza volta. In quel momento cominciò a piovere con violenza. In un attimo, Ary si trovò murato nella cascata d'acqua che precipitava ruggendo. Continuò a trascinarsi sull'erba diventata viscida, aiutandosi con le mani. Finalmente raggiunse il Condotto. Con uno sforzo strappò via la gelatina e gettò l'atomica nello sportello. Tentò di contare fino a trenta, ma perse il conto quasi subito. Allora armeggiò sul tastierino. Lentamente. Per impedirsi di commettere un errore che, nelle sue condizioni, non sarebbe stato in grado di correggere. Due volte M. Due volte T. Due volte F. Ora le dodici atomiche erano collegate in serie, a decine di chilometri di distanza l'una dall'altra. Tre volte Q. Poi, in rapida successione: AAA.

Alla terza A, la terra ebbe un sussulto. La foresta tremò. Si udì un rombo lontano che saliva come un urlo gutturale. Nel tremendo scrosciare della pioggia si fece largo un improvviso stridio di animali che fuggivano impauriti. Uno schianto di alberi che crollavano. In quegli attimi, ad Ary sembrò di vedere, con gli occhi della mente, il Labirinto che si contorceva colpito a morte. La terra che si spaccava eruttando fiamme. Le cupole che crollavano, l'aria che si faceva incandescente. Ci mise qualche secondo per rendersi conto che non era successo nulla di simile. Se ne accorse come in un sogno drogato. A fatica. C'era stato un sussulto molle. E qualche albero era caduto con fragore. Gli animali erano fuggiti stridendo, tra i rami e il sottobosco. Ma ora tutto era già tornato come prima.

La foresta immobile e silenziosa nel diluvio.

Ebbe un tuffo al cuore. Il Labirinto aveva appena sussultato, sotto il pugno delle sue atomiche. Come in un risolino di scherno. Sentì in gola un nodo d'angoscia così violento che, per un attimo, dimenticò anche il dolore. Erano mesi che si stava preparando alla fine. Ma era duro morire così. Senza lampi di fuoco. Senza l'ultimo gesto vendicatore che aveva sognato. Con la piena coscienza di un fallimento. Tentò ancora di tirarsi in piedi, a denti stretti. Crollò sull'erba ormai ridotta a un acquitrino. Il petto gli si schiacciò sul cuore. Ancora un battito. Un altro. La nebbia diventò nera.