Termino qui il discorso, che mi propongo però di riprendere nel prossimo Quando le radici con un altro scrittore; un altro esempio che sarà, credo, altrettanto esplicativo di quanto vado dicendo.
Ma torniamo al nostro Lanzotti, del quale riporto testualmente alcuni passi di una sua e-mail inviatami di recente, per i lettori di Delos:
"Se ho fatto della fs un'attività marginale non è certo per disamore, ma per mancanza di vere prospettive (chi diceva, anni fa, che la fantascienza è un ghetto?) Da qualche anno sono passato ai romanzi di ambientazione storica (come Le parole magiche di Kengi il Pensieroso). La mia specialità è la civiltà sumera, in Mesopotamia. Il via mi è stato dato da un romanzo per ragazzi che mi ha portato molte soddisfazioni, di critica e di vendite. Seguendo il filone, ho cominciato a scrivere gialli polizieschi ambientati sempre nella stessa epoca. Nel giugno 2004 uscirà Giochi d'ombre per lo scriba: si tratta di un giallo di ambientazione storica, e anche questo prende corpo nella terra dei sumeri. Hai ragione quando dici che non è facile entrare nell'ambiente editoriale. Io sono riuscito ad agganciare l'editrice Piemme solo perché ho vinto un concorso, altrimenti sarei ancora in giro a bussare alle porte. Da allora non ho certo fatto chissà cosa, ma almeno mi sono affrancato dal ghetto.
Circa la fantascienza, non so dire esattamente quando l'ho conosciuta, ma è stato
un amore estremamente precoce. Rammento bene che da bambino mi facevo regalare dei libri per ragazzi di sf. Sia i miei genitori che la mia maestra erano ferocemente contrari. Ma io non demordevo. Ero completamente stregato dalle atmosfere aliene (letteralmente) che permeavano quei libri. Nonostante siano passati secoli, di alcuni ricordo ancora qualche episodio. Poi scoprii la sf adulta, e il primo contatto fu inevitabilmente con Urania. Da ragazzo mi rifornivo in un negozietto di libri usati (cinquanta lire l'uno), uscendone ogni volta con bracciate intere di volumi che poi divoravo avidamente e non rivendevo più, come invece facevano altri, perché i libri ho sempre preferito tenermeli anche quando non mi piacciono. La mia formazione fantascientifica è maturata così.
Ho cominciato a raffinare i miei gusti e selezionare maggiormente... E qui si arriva ai miei autori preferiti.
Essendo "vecchio" non posso che essere legato sentimentalmente alle generazioni dei mostri sacri. In primo luogo Philip K. Dick, che rappresenta magnificamente il mio stesso interesse verso questioni quali l'intelligenza, la percezione della realtà, il sottile confine che divide il vero e l'immaginato: temi che io stesso ho cercato di trattare in alcuni miei racconti (ovviamente senza raggiungere le vette del maestro). Dick
è un buon esempio di ciò che io definisco "fantascienza filosofica", dei grandi temi umani, degli interrogativi eterni, ma rappresenta anche l'esempio emblematico di come argomenti serissimi possano essere veicolati attraverso una forma letteraria piena di azione e movimento. Insomma, come si possa scrivere un romanzo in cui "si dice" molto e "succede" altrettanto. Inutile aggiungere che questa è la sf che preferisco. Ma in realtà, io estendo questa stessa considerazione alla letteratura in generale (sono un lettore assolutamente onnivoro). Personalmente detesto sia il romanzo di pura evasione, che non ti lascia niente dentro, sia il romanzo di pura riflessione, che devi sforzarti di continuare leggere vincendo la noia ad ogni pagina. I grandi scrittori sono tali anche perché riescono a conciliare magnificamente le due esigenze.
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