In silenzio, senza clamori, tenendosi in disparte (non ricordo di averlo mai visto a una convention, per esempio) Paolo Lanzotti (1952) ha dato un suo personalissimo contributo alla narrativa italiana di fantascienza. Suoi racconti cominciarono ad apparire dal 1977 sulla fanzine padovana The Time Machine, pubblicazione della quale più volte ho avuto modo di parlare su queste pagine, portandola come esempio di iniziativa amatoriale seria, capace di scoprire nuove firme e al contempo di coinvolgere sulle sue pagine nomi ben noti. Tra gli esponenti di maggior spicco del gruppo ruotante intorno alla fanzine c'erano Mauro Gaffo (ora vicedirettore della rivista Focus) e Franco Stocco, i quali inoltre organizzarono un frequentatissimo premio annuale per racconti di fantascienza e fantasy (il "Mary Shelley"), e alcune convention.
La narrativa fantascientifica di Lanzotti non è molto vasta: una trentina di racconti sparsi tra TTM e poi su Futuro Europa, Nova Sf*, il cofanetto di Stampa Alternativa Fantasia (1995; autori vari, a cura di Franco Forte); un paio di titoli in altrettante antologie collettanee della Perseo Libri; sulle riviste Star, Oltre... (di Montepulciano), Space Opera (Courmayeur), e perfino sul Cosmo Informatore dell'editrice Nord; un suo racconto è stato tradotto in ceco e fa parte di un'antologia italiana curata da Ludmila Freiova (1999). Tutto qui. Questo autore così schivo ha saputo dare un'impronta inconfondibile alle sue pagine e a mio avviso è un esempio tra i più significativi dei molti, moltissimi altri scrittori che nei decenni si sono affacciati con entusiasmo al mondo della fantascienza italiana, vi hanno lasciato una traccia non banale, una promessa di "crescita", poi se ne sono allontanati. Lo stesso Lanzotti mi ha scritto di avere, in pratica, abbandonato la fantascienza (benché non definitivamente), per scrivere in un settore che gli sta offrendo maggiori soddisfazioni (si veda più in appresso). E in fondo io penso sia proprio questo, senza voler essere polemici, uno dei principali motivi per cui la science fiction italiana non è mai decollata: l'apparente mancanza di spazi. Dico "apparente", perché (il discorso sarebbe lungo) in 50 anni, di spazi editoriali ce ne sono indubbiamente stati, e ancora ce ne sono. Ma non in essi si è mai verificata una continuità di intenti (parlo in generale): questi spazi ora si aprivano e ora si chiudevano senza dare a un autore veri stimoli, o un minimo di garanzie (dedicarsi all'impegno di un romanzo per poi trovare porte chiuse non è allettante per nessuno); inoltre, diciamoci la verità, ogni curatore ha avuto una sua irremovibile idea di cosa fosse la fantascienza, e di come dovesse essere una fantascienza italiana: il che aumentava vertiginosamente il rischio di un rifiuto. Sono mancate direttive precise, aperture mentali (tranne rari casi), e anche un reale interesse dei lettori alla faccenda; contrariamente a quanto verificatosi in ambito del romanzo giallo, tra gli stessi autori non c'è stata una coesione, una solidarietà che potesse creare un fronte comune (come dimenticare le furibonde, eterne diatribe su questioni di lana caprina all'interno del fandom, ma anche dello stesso professionismo?)
Tutto questo ha reso sterili i 50 anni di fantascienza italiana a dispetto dei vari premi, anche prestigiosi, a volte banditi o tuttora in essere; ha portato all'allontanamento di molta gente che poteva "maturare", e ha prodotto pochi validi o validissimi autori molto diversi tra loro, che in realtà non rappresentano una "sf italiana" ma solo... se stessi.
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