Prende la busta, la apre e inizia a leggere reggendo la lettera con una mano sola, mentre con l'altra non smette nelle sue abluzioni color ruggine. Conosco Madame, il suo viso dopo un po' s'imporpora e la mano libera, inconsciamente, inizia a tergere i seni.
- Mon ami, sei sempre stato un mascalzone, e sai cosa scrivere a una donna, non c'è dubbio. - Torna a guardarmi, gli occhi appena velati, l'espressione in posa. Madame era un'attrice e le resta una memoria di ferro, simile a un baule pieno di costumi di scena. Ogni lustrino una battuta. - Chissà dov'è adesso, piccolo amico mio. Ti ho mai parlato di lui?
- Raramente, Madame.
Mi siedo senza attendere il suo permesso perché quello è il nostro gioco. Madame parla adagio, da vera donna di mondo, con la voce calda e sensuale mentre racconta una delle storie della sua vita che hanno sempre qualcosa di sospeso, di irrisolto, come assi di un vecchio palcoscenico in disuso.
Socchiudo gli occhi contro la stoffa umida del cuscino, serrando l'oblò del sogno aperto su una mano brulicante di insetti. Al di là della membrana del buio il rombo dell'elicottero sembra un borbottio rauco.
Schizzo via dalla branda e mi affaccio, giusto in tempo per essere investito da uno sciame di volantini bianchi che volteggiano in aria come corvi, spargendosi su tutta la zona abbandonata. La fucilata che Rommel tira alla cieca verso l'elicottero è come un lampo accompagnato dalla sua risata incollerita e il solito corollario di invettive.
Ne carpisco uno proprio vicino alla mia finestra.
E' scritto lì, nero su bianco. Impossibile.
Decido di partire subito anche perché l'alba è vicina, così alle prime luci arriverò in prossimità del muro. Cercando di muovermi in silenzio scendo le scale e solo all'ingresso mi accorgo che ancora sto trattenendo il fiato. Non voglio farli preoccupare, così, di notte.
Mi fa sempre uno strano effetto superare il ponte, ma è un attimo, poi i quasi due chilometri di crolli e strade che si vedono a malapena scivolano via veloci, al ritmo della polvere che scricchiola sotto le scarpe. Qualche pattuglia ogni tanto ma niente di serio. Sembrano distratti.
Il muro è un insulto alla gravità, così imponente e dritto quando tutto quello che ha intorno va giù. L'unica soddisfazione è vedere che quei licheni strani che ultimamente crescono ovunque hanno attecchito anche sulla sua superficie liscia e compatta come un diamante. Me ne sto immobile nel vecchio vano motore di un'auto, a spiare. Le torrette sono vuote, l'enorme saracinesca blindata è spalancata e non ci sono guardie, niente cingolati, niente batterie, niente cani... La solita scenografia insomma. Oltre, vedo i soldati che stanno ballando, alcuni con delle bottiglie in mano. C'è pure qualche donna.
E' scritto lì, nero su bianco. Ma è solo un pezzo di carta e la vita è un'altra cosa. Come faccio a riportarli tra la gente normale, dopo tutti questi anni?
Posso solo voltarmi di scatto e mettermi a correre, leggero come non mai. Stasera scriverò qualche lettera e magari, prima di andare a letto, ascolterò un'altra storia da Madame.
Alla curva mi sembra d'essere già a casa, proprio mentre sento un clacson ragliare, con gli echi che rimbalzano dappertutto. Faccio giusto in tempo a nascondermi e pochi secondi dopo il camion arriva a grande velocità, sbanda, prende in pieno la buca, il cassone sobbalza ma è vuoto, simbolo del nuovo corso. C'è solo un soldato aggrappato a un sostegno del telone ma che viene ugualmente preso alla sprovvista e sbalzato fuori. L'autista non se ne accorge e tira dritto, continuando a martoriare il clacson.
Quando il silenzio torna a dominare il sangue mi avvicino, guardingo. Il soldato ha battuto la testa ed è stordito, però spalanca gli occhi quando mi vede. Sorrido, cercando di essere rassicurante. Il suo sguardo non molla per un secondo la mia bocca; chissà cosa sta pensando.
- Non preoccuparti - dico, immaginando l'effetto che deve fargli lo spettacolo della mia lingua che balla dietro ai denti. Poi inizio a tirarlo per il bavero della divisa invernale. - Andrai bene lo stesso.
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