Cent'anni di turpitudine
di Gabriel García Marquez?
Molti anni dopo, di fronte al protone d'esecuzione, il colonnello Piersilvio Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo Due era allora solo un villaggio a forma di biscione costruito sulle rive di un laghetto indicato da un cartello che recitava "laghetto" e sormontato da un ponticello con la scritta "ponticello", perché il mondo era così recente che molte cose erano ancora prive di un nome e bisognava inventarglielo sul momento.
Una carovana di nomadi, come accadeva ogni anno al morire della primavera, aveva piantato la tenda vicino al villaggio. Un uomo corpulento con labbra di cinghiale e mani di gazza, che si presentò col nome di Craxíades, diede manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti di Macedonia. Il padre di Piersilvio, Silsilvio Buendía, capostipite della dinastia e fondatore di Macondo Due, precedette il figlio nella tenda del nomade. Dentro trovarono un enorme blocco trasparente con infiniti aghi interni nei quali si frantumava, in stelle colorate, il chiarore del crepuscolo.
Con voce tremante d'emozione, Piersilvio chiese cos'era. Silsilvio disse che non lo sapeva, ma che comunque se lo comprava per farlo giocare come seconda punta nel Macondo, perché lui era quello che firmava gli assegni e quindi dovevano fare tutti come diceva sennò calci nel culo.
Silsilvio, il capostipite dei Buendía, era un uomo la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell'ingegno della natura e ancora più in là del miracolo e della magia. Era, per dirla come si magna, matto come un cammello e fuori come un'antenna parabolica. Dieci anni prima aveva condotto un pugno di seguaci, simpatizzanti e dipendenti stipendiati (soprattutto dipendenti stipendiati) in un lungo esodo attraverso la terribile palude toponomastica dell'hinterland milanese. Dopo mesi di peregrinazioni, sperduti fino alle orecchie per le strade nebbiose di Gallarate, Lambrate, Vimercate, Agrate, Segrate, Linate, Gessate, Albiate, Carnate, Carugate, Subiate, Novate e Rosate, Silsilvio aveva alfine arrestato il suo cammino in una radura ove, appartatosi per soddisfare un bisogno corporale, aveva cagato un lumacone azzurro con contorno di sanguisughe morte.
Colpito dal presagio, aveva deciso che in quel luogo esatto sarebbe dovuto sorgere il Paese Perfetto. E in effetti, dieci anni dopo, Macondo Due naufragava in una prosperità da miracolo: i suoi seguaci si erano riprodotti e moltiplicati, in un impeto di straordinaria prolificità di cui lui stesso aveva beneficiato, dato che aveva messo al mondo cinque figli, battezzati nell'ordine Piersilvio, Piersilvia, Pierpiero, Silsilvio Junior e Silsilvia detta Pierina.
Silsilvio non poneva particolare attenzione alla figliolanza, e non si stupiva del fatto che la moglie fosse sempre gravida anche se lui, per i molteplici impegni presidenziali (per legge di Macondo, era presidente di ogni gruppo organizzato di più di due persone), non la porchizzava ormai da secoli. D'altra parte, come ripeteva spesso, lui si era fatto da sé: era anche nato all'insaputa dei suoi genitori, che lo avevano trovato una mattina in cucina intento a leggere il Sole24ore; dunque non si sorprendeva che anche i suoi figli fossero stati concepiti in outsourcing.
Craxíades il nomade tornò molte volte ad accamparsi nei pressi di Macondo Due. Ogni volta portava meraviglie da quel mondo esterno che al villaggio ormai tutti avevano dimenticato. Silsilvio acquistava ogni cosa con un entusiasmo implacabile, e finì per considerare Craxíades un essere sovrannaturale che aveva decifrato i misteri della materia e varcato i confini del conoscibile. Strinse con lui una vigorosa amicizia, e decise che a Macondo Due sarebbe stato sempre il benvenuto. La comunanza tra i due uomini non si interruppe nemmeno con la morte del nomade: al contrario, in qualità di fantasma, Craxíades risultò più gradito in casa Buendía di quando era vivo, anche perché da morto ruttava e petava con maggiore sobrietà.
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