Peter non rispose neppure. Guardai il suo volto reso grigio dall'illuminazione stradale riflesso nello specchietto retrovisore. Il serpente dormiva sulla spalla cullato dalle ombre.

- Sta per finire - disse Frank schiarendosi la voce.

- Già - risposi mentre evitavo un tipo fatto che aveva cercato di buttarsi sotto l'auto.

- E dopo, che faremo?

- Non lo so.

Ci fermammo davanti al White Rabbit in attesa, un locale calmo frequentato da gente di mezza età, né ricchi né pezzenti. Dopo un'ora il contatto uscì dal locale in compagnia degli azeri. Si divisero in due auto, e il traditore ci passò a fianco senza degnarci di un'occhiata. Indossava un impermeabile chiaro chiuso da una cintura, calzoni scuri e scarpe marroni. Guardai il mio abbigliamento e quello dei miei compagni: vestiti aggressivi, di poco prezzo, comodi, mentre il manager si sentiva al sicuro dietro un'eleganza squallida fatta di cravatte ingombranti, giacche beige, soprabiti di pelle. Un azero gli tenne la porta aperta e lo fece salire in auto. Colsi il suo viso per un solo istante e capii che il suo disprezzo per noi era spinto dall'invidia e dalla grettezza. Seguimmo le auto per un paio di chilometri attraverso i quartieri residenziali e le abitazioni anonime vicino all'aeroporto. Frank tolse dalla tasca interna del giubbotto di jeans un CD e lo infilò nella fessura dello stereo. Gli accordi di The end riempirono l'abitacolo.

Le auto si fermarono davanti a un edificio isolato circondato da un giardino. Gli uomini scesero ed entrarono in casa senza voltarsi dietro, protetti dal loro infimo cabotaggio criminale.

Gli lasciammo ancora qualche minuto, in attesa che il brano di Jim Morrison terminasse, poi uscimmo dall'auto per abbandonarci ai brividi del termine della notte. Ognuno scelse le armi che preferiva e ci avviammo lungo il breve viale che conduceva al portone. Frank stringeva in mano un lanciagranate e lo usò per entrare in casa.

- Ora suono il campanello - disse ridendo prima di premere il grilletto.

Il portone esplose nella notte mescolandosi agli altri eccessi di gioia nella festa ebbra di fine millennio. Entrammo mentre il fumo si diradava, tra le schegge di legno e gli intonaci frantumati.

Un uomo basso dai folti baffi si fece contro di noi impugnando un revolver a canna lunga. Peter, che si trovava dietro di me, lo centrò con tre colpi, abbattendolo. Altri uomini apparvero davanti a noi, stupiti nei loro completi grigi passati di moda. Alzarono le mani senza accennare a una qualsiasi resistenza. Dietro di loro spuntava Zombie, esile come uno stelo scampato alla mietitura, alto e solo.

- Tutti contro il muro - gridò Frank agitando la Heckler. - Non muovetevi.

Gli uomini si avviarono docilmente su un lato della stanza spoglia.

- Voi... - pronunciò il contatto a fatica. - Voi...

- Chi siete? Cosa volete da noi? - chiese uno degli azeri girandosi verso di noi.

- Non abbiamo niente contro di voi - risposi indicando il contatto che era rimasto immobile al centro della stanza. - Vogliamo lui.

- Avete ucciso mio fratello - continuò l'uomo che parlava con le mani dietro alla testa.

- Mi dispiace, non abbiamo niente contro di voi. E' lui che cerchiamo.

- Potevate chiedercelo, ve l'avremmo dato. Non è uno dei nostri - replicò l'uomo parlando con difficoltà.

- Mi dispiace per tuo fratello. Non faremo nulla né a te né agli altri. - Mentre parlavo tenevo la pistola puntata contro il contatto. - Ci teniamo questo stronzo.

- Ammazzatelo... - L'uomo aveva abbassato le mani pur tenendole distanti dal corpo.