- Sei morto, stronzo - disse un bianco che roteava una catena.

Il giovane lanciò debolmente una pietra, poi si inginocchiò per strada, colorato dalle alogene. A quel punto sparai.

Lo skin ubriaco cadde a pochi metri dal giovane indiano, colpito alla spalla. Si accartocciò vicino alla palizzata della casa senza abbandonare la catena. Dalla piazza vicina, il frastuono che accompagnava Femme Fatale aveva coperto il rumore dello sparo. Gli altri skin si avvicinavano alla loro vittima inerme, e cadevano senza capire chi gli stesse sparando. Sette corpi erano stesi a terra prima che la canzone fosse finita. Mi avvicinai, camminando lentamente con il braccio destro steso lungo la gamba, la pistola puntata verso terra. Solo un paio di skin sembravano morti.

- Shine, shine....

Era iniziata Venus in Furs, e cantava Lou Reed. Mentre guardavo gli skin respirare a fatica, vomitare, tentare di tamponare le ferite con le mani, pensavo di non esistere, di essere attore di un clip di Lou Reed. Pensai a queste immagini montate assieme, alle automobili in fiamme, agli skin che vedevano la vita sfuggire nel sangue dell'emorragia, alla chitarra elettrica.

Uno skin si alzò malfermo sulle gambe impugnando una pistola cromata. L'arma gli pesava in mano e la canna oscillava a ogni passo. Quando il giovane si fu avvicinato, mi appoggiò una mano sulla spalla e mi spinse debolmente la canna della pistola contro il fianco. Vedevo che non riusciva a trovare le forze per schiacciare il grilletto, forse non riusciva a spostare la sicura; aveva le palpebre abbassate e la camicia insanguinata. Gli puntai la pistola alla tempia per qualche secondo, poi lo spinsi via, senza violenza, ma con decisione. Arretrò fino a urtare un'auto in sosta con la schiena. Si sedette, strisciando contro la carrozzeria e lasciando una striscia di sangue denso.

- Buon anno, nazi - dissi mentre prendevo tra le braccia l'indiano privo di sensi. - Spera che qualcuno abbia il buon cuore di soccorrerti.

Il giovane non doveva avere più di sedici anni, e lo sorreggevo senza fatica. Le costole tendevano la pelle del magro torace a ogni respiro ingigantendo la sua naturale magrezza. Frank tolse bruscamente un maglione a uno degli skin feriti e coprì il giovane, poi recuperò la preziosa valigia e mi seguì lungo un ponte di mattoni rossi.

Abbandonammo l'indiano semi-incosciente a un gruppo di rasta che ballavano sotto la luce gialla di un lampione. Accettarono con allegria 20 euro per continuare la festa e per badare al ragazzo. Noi continuammo verso sud, fino allo Psyco Club, dove trovammo la Rover posteggiata.

Aprimmo il cofano e studiammo l'arsenale. Art Decad aveva sistemato in buon ordine tutto il necessario per chiudere definitivamente la faccenda. Salimmo nell'auto e precipitammo verso gli istanti più importanti della nostra vita, talmente importanti che non mettemmo musica e rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio. Solo la Heckler & Koch di Frank scandiva il ritmo con gli scatti dell'otturatore e del caricatore. La città notturna e suoi abitanti sfilavano davanti ai nostri occhi deformati dall'accelerazione o catturati dai rallentamenti. La festa non accennava a concludersi, la gente amava e moriva come se quella notte valesse più di tutta la loro vita.

- Ho cambiato il tempo - disse Peter all'improvviso, quasi avesse pronunciato ad alta voce una frase pensata dal serpente.

- In che senso? - chiese Frank posizionando il caricatore nella scanalatura.