Camminavamo per la cittadina coloniale costeggiando la baia, lasciando sulla nostra sinistra i mercantili e pescherecci in rada. Ci avvicinammo a un assembramento insolito per Lúderitz, neri e bianchi sostavano davanti a una costruzione di legno raggruppati in capannelli dalle conversazioni eccitate, dai gesti improvvisi, dalle voci che si sopraffacevano per poi virare in tratti bianchi di assoluto silenzio. Un africano anziano che indossava una camicia immacolata e larghi calzoni di tessuto robusto cercava di mettere a tacere un uomo grasso, vestito con eleganza, che si detergeva in continuazione il collo con un fazzoletto rosso. Mi avvicinai cercando di decifrare la conversazione occultata dal dialetto del sud.

- Che accade? - chiesi nel mio inglese lento e indeciso, incurante dell'intrusione compiuta.

Gli uomini si azzittirono e mi scrutarono con la diffidenza che uno straniero bianco merita a quella latitudine.

- Cercano un europeo - rispose l'uomo grasso con voce acuta, infilando in tasca il fazzoletto.

A una dozzina di metri da noi la polizia locale in divisa e alcuni funzionari in borghese occupavano le scale che conducevano al portone della palazzina.

- Un brutto affare, a quanto pare... - rispose l'altro uomo raddrizzandosi, rivelandosi alto e magro. - Cercano un uomo che aveva affittato la casa da qualche mese. Pare che fosse un trafficante d'organi.

- C'era sempre un camper posteggiato davanti alla casa. Ora è sparito - aggiunse l'uomo grasso recuperando il fazzoletto e dispiegandolo con cura. - E' arrivata la polizia da Keetmanshoop.

- Non era mai accaduto un fatto del genere a Lúderitz - intervenne l'altro uomo. - Non così grave.

Continuammo la nostra passeggiata procedendo lentamente, respirando l'aria di mare e i colori che avevamo dimenticato vivendo nel deserto, fino a oltrepassare il centro abitato e salendo sulla collina verdeggiante. La strada conduceva alle miniere di diamanti abbandonate. Attendemmo che il sole calasse oltre l'oceano nell'aria calda.

Zombie ci era sfuggito per poche ore.

Francia nord-occidentale, autunno 1999

Dinard seguiva la lenta ipnosi della marea, soffocata dai cumuli violacei che portavano la pioggia pomeridiana. Art Decad aveva affittato una casa isolata, sentinella della strada per Mont Saint Michel che feriva l'ultima campagna bretone. Oltre la strada una lunga duna trasversale nascondeva la vista del mare che immaginavo livido. Il piano terreno della casa era occupato dalle workstation e dai monitor; cavi grigi e neri erano il groviglio del sistema nervoso di un animale estinto.

Frank si aggirava per la stanza, fumando e strascicando le Nike sul pavimento, inciampando nei cavi.

- Allora, dov'è? - chiese.

- Ancora in Italia, ma non capisco dove - rispose Peter senza staccare gli occhi dal 17". Il serpente dormiva sulla spalla e la coda penzolante nel vuoto oscillava lievemente a ogni movimento.

- Perché cazzo tieni sempre quel serpente addosso? - Frank si era avvicinato alla testa affusolata del rettile e la scrutava in cerca di qualche irregolarità. - Ti dà l'illusione del peso?

- Sulle scaglie del serpente c'è scritta la storia di Dio - aggiunse senza scomporsi.

L'aria era gravida di Set the Control for the Heart of the Sun, The Night Watch e Sweet Jane.

- Quando è nato Dio? - chiesi continuando a cercare la battigia invisibile.

- C'era un tempo in cui tutto era fermo, tutto calmo, in silenzio; tutto senza movimento, tranquillo e la distesa del cielo era vuota. La superficie della terra non era ancora apparsa. V'era solo il placido mare e la grande distesa del cielo. Poi venne la parola.