Il "Catalogo Vegetti" non riporta il materiale uscito su riviste amatoriali. Mi rifaccio quindi al... chiacchierato "Catalogo Pilo": la tua attività di scrittore (inizialmente solo di saggistica) parte da fine anni Settanta sulle fanzine Crash e Intercom, che esiste tuttora in rete non hai mai abbandonato. Giusto? Entrambe presentavano soprattutto saggi, con materiali ottimi, introvabili altrove... Cosa vuoi ricordarci di queste tue esperienze?

L'idea di Crash mi venne cercando di riprodurre a Genova il lavoro di Bruno Baccelli a Carrara. I riferimenti letterari erano esperienze come Ubik, Alternativa e, naturalmente, Robot. Vivevo una sorta di ingenuo complotto che leggeva l'abbandono di Vittorio Curtoni come un atto di repressione da respingere con una pura e incrollabile militanza. Infatti la rivista Crash, un ciclostilato denso e pesante di critica letteraria dove non collaborava neppure uno studente di lettere, si basava su un collettivo che riproduceva le forme organizzative del '77. All'inizio eravamo io e Bruno Valle, di Rapallo, qualche studente di fisica e alcuni giovanissimi amici che diedero poi vita ad Arcon (si tratta di Mario Fabiani e Silvio Migliaccio). Ci vedevamo in una sede del dopolavoro ferroviario (dove ci guardavano con sospetto), sale d'aspetto, e librerie del movimento vicine ad Autonomia Operaia. Forse tutta questa coreografia estremista era spinta da me e da Bruno, e forse gli altri la subivano, ma era una cosa normale in quei tempi. Ci divertimmo un sacco. Il primo numero era dedicato ad Alfred Bester, il secondo a Charles Harness, poi la rivista implose. Ora non ricordo perché, ma io, Bruno e Claudio Asciuti trovammo una gran difficoltà a stamparla. Magari non avevamo facce tanto rassicuranti... Io, non so bene il motivo, ero contrario alla narrativa, forse perché quella italiana che leggevo era brutta, a parte i tuoi racconti, Gianluigi Pilu, Mauro Antonio Miglieruolo, Lino Aldani e Renato Pestriniero. Direi che si trattava di una sorta di massimalismo cerebrale.

Intanto collaboravo con altre iniziative: prima Quark, un quindicinale diretto da Mauro Gaffo, poi Intercom, il mensile di quel pazzo di Pippo Marcianò. Tieni conto che oltre alle nostre innocue fanzine, esistevano decine di iniziative editoriali dell'area dell'autonomia. Infatti mi ostinavo a mettere in vendita Crash a Genova e Milano nelle librerie del movimento, dove trovavi anche Un'ambigua Utopia e Pianeta Rosso. Poi Bruno Valle mi propose di rilevare la direzione di Intercom. Io rifiutai, ma lui dichiarò che avrebbe finanziato la stampa ed eseguito da solo tutto il lavoro relativo. A quel punto accettai. E fu la verità: Bruno si accollò ogni incombenza dal numero 28 al 99. Si deve a lui, e quasi solo a lui, se Intercom resistette fino all'arrivo di Danilo Santoni, Roberto Sturm e Franco Ricciardiello.

Per un periodo Intercom fu anche la rivista di Mimmo Cammarota, personaggio ora occulto ma tra i più importanti della fantascienza underground degli Ottanta. Poi si alternarono in molti, sempre dell'area della sinistra, non più movimento ma tenacemente survivalista.

Non so perché buttammo tante energie e i pochi soldi in tasca per estrinsecare quella passione. Forse volevamo veramente creare gli oggetti di una controcultura, eravamo di fatto una società separata che viveva dei propri ideali.

Oggi figuro ancora nel gruppo di Intercom, anche se le mie collaborazioni sono nulle e rivedo gli amici sporadicamente. Ritrovarsi tra i redattori dà forse un senso di continuità, visto che vi ho collaborato dal 1979... Almeno per il mio affetto, oggi si tratta del miglior web sulla fantascienza italiano; naturalmente non manca qualche altra ottima testata, tipo Delos, capace di aprirsi a vari interessi.