Gesù, ridatemi Mr. Hyde. Come saggiamente ricorda Malaguti, la fantascienza di cose controcorrente ne ha dette parecchie, nella sua lunga storia. Le ha dette affidandosi ad autori che non condividevano la stessa visuale del mondo, però avevano il coraggio di parlare, di esprimersi fuori dai denti. Poi tra appassionati si litigava, ci si accapigliava, si faceva a cornate. Io sono un reduce del fandom degli anni Sessanta, che più litigioso di quello non ne possono esistere, e delle grasse polemiche dei Settanta, delle quali ho deprecato i toni; e non è che su questo abbia cambiato idea, però magari si potrebbe tentare di essere più vivaci, meno omologati, meno duplicati, meno fotocopie, anche senza venire alle mani o agli insulti verbali.

Viviamo in un mondo anemico, tra obiettivi livellati e confronti dialettici al ritmo del minuetto, perché tanto quel che è, è, nulla cambia alle radici. C'è il grande velo di melassa omogeneizzante spalmato su tutto. Ma che ne so, un pizzico di diarrea, un attacco di vomito magari non ci farebbero nemmeno troppo male, eh?

In sintonia col pistolotto che precede, vi annuncio che su questo numero non è presente la rubrica della posta. Non c'è perché tra le poche, davvero poche, lettere che ci sono pervenute, una quantità scarsissima conteneva domande, riflessioni, temi interessanti per la massa dei lettori. Il loro numero non è legione e non basta per imbastire una rubrica cicciottella. Mica è colpa nostra. Che delusione però. Che scoramento. Ai tempi della prima Robot, la mia scrivania in redazione era una specie di corte dei miracoli di buste, plichi; il problema non era trovare lettere interessanti da pubblicare, il problema era fare spazio alla corrispondenza sulla rivista. Io le lasciavo ad ammucchiarsi su quella linda superficie bianca, tanto che a un certo punto la signora che di sera veniva a fare le pulizie andò a parlare con l'editore, Giovanni Armenia, e gli disse che io facevo schifo e che si rifiutava di toccare anche solo con un dito la mia scrivania; e ogni tanto Armenia veniva da me e mi diceva: "Quand'è che mette in ordine, Vittorio? La donna delle pulizie si è lamentata", e io rimandavo a domani, dopodomani, l'anno prossimo...

Magari mi sbaglio, ma ho come l'impressione che Internet e le e-mail stiano diventando un altro di quei fattori melassanti che dicevo prima. Ci siamo talmente abituati al chiacchierio elettronico giornaliero, privato e pubblico, che siamo tutti un colossale bar dello sport, e le chiacchiere si sprecano. Per carità, nessuno degli scarsi, valorosi amici che ci hanno scritto si senta rimproverato: tutti quanti, me compreso, siamo ampiamente colpevoli dello stesso difettuccio, e di certo io non posso tirare la prima pietra. Nemmeno la centesima, per dire. Solo, ehi!, un pizzico in più d'audacia, una qualche svolazzata d'aquila: okay le opinioni sui singoli racconti e articoli, ma una visione globale, opinioni che prescindano dal qui e ora, stimoli, provocazioni. E dai che ce la fate.

A parte questo, tutto va bene, madama la marchesa robotta (non è una parolaccia; i genitori in ansia per gli usi linguistici dei pargoli si tranquillizzino). Oltre all'inglese Watson, abbiamo il piacere di ospitare il suggestivo racconto di un autore francese, Roland Wagner, per il quale ringraziamo l'ubikuo agente letterario italiano, il vecchio (lo scrivo perché così si arrabbia, lo so) Piergiorgio Nicolazzini. Wagner è un simpaticone che ho conosciuto un anno fa a Milano, e mi pare proprio un tipo da tenere d'occhio. Con la Francia, del resto, stiamo intrecciando rapporti che potrebbero rivelarsi assai proficui, ma per scaramanzia rimando le informazioni al n. 44. Mai chiudere il sacco prima di averci infilato dentro l'orso.