Esofago di tenebra
Di Joseph Conrad (?)
Marlow sedette sul cassero della barca, accese la pipa e ci fissò negli occhi. Poi cominciò a narrare:
"In serate come questa, m'assale il ricordo di quel terribile viaggio... No, non parlo del fiume Congo, che a confronto fu una gita di poppanti... Parlo dell'avventura atroce, sordida, grandiosa, mortale e selvaggia che vissi l'anno dopo. Ma è meglio cominciare dall'inizio...
Quel giorno ero in ufficio, intento come al solito a spiare le carte geografiche del mondo cercando gli spazi vuoti della terra, macchie bianche senza nomi, senza storie e senza verità. Il mio sguardo fu attratto da una lunga linea d'ombra. Oscura, sinuosa, invitante, gotica e grandiosa: guardarla scivolare sulla mappa era come riflettere su un enigma...
Mi colse irresistibile l'impulso di partire, di esplorarla, di immergermi nel suo mistero. Corsi dal Capo a firmare i fogli ferie, inconsciamente sollevato di allontanarmi dal suo sorriso mellifluo, squallido, falso, ironico e spregevole: il Capo era il tipico mister perfetto, un volto regolare e praticamente privo di lineamenti, un naso spellato, occhietti azzurri, sorrisi e cipigli che si rincorrevano come il sole e l'ombra su una piana spazzata dal vento. Sempre elegante e a posto, anche quando fuori impazzava la bufera e io arrivavo in ufficio zuppo come un caciucco.
- Piove? - mi chiedeva in quei casi, inarcando elegantemente il sopracciglio.
- Mi ha dato un passaggio Noè con l'arca - ribattevo io, innaffiando i vasi da fiori con il contenuto delle scarpe.
- Strano - considerava lui - sono arrivato dieci minuti fa, a piedi, e non cadeva neanche una goccia.
Così anche in occasione di scioperi, manifestazioni, attentati o terremoti: a sentir lui non era mai incappato in un ingorgo o in una fila alla Posta. Era caparbiamente immune a ogni avversità, umana o naturale che fosse, e sarebbe stato capace di giurare d'essersi rilassato anche sul Titanic.
- Se va fin laggiù, Marlow - disse - incontrerà certamente Kurtz.
- Chi è?
- Un uomo di notevoli qualità - ridacchiò, sempre molto signorilmente.
Due giorni dopo ero già in viaggio, e se lo stacco narrativo vi sembra troppo brutale non me ne frega niente perché io sono la voce narrante e faccio un po' come cazzo mi pare.
Per fare il paio col quella ciofeca di chiatta fluviale che avevo usato in Congo, avevo scelto quale mezzo di trasporto una Fiat Duna del '93 senz'aria condizionata. Quando ne avevo aperto il vano motore (?), avevo trovato la scritta Che orrore, che orrore! incisa con quelle che sembravano unghiate all'interno del cofano. Poi naturalmente non ero più riuscito a richiuderlo, il cofano.
Era Ferragosto, il periodo ideale per compiere l'impresa cui mi accingevo. L'incipit del mio viaggio, l'ingresso alla linea d'ombra che stavo per affrontare se ne stava lì davanti a me, minaccioso, brulicante, promiscuo, incombente, bieco, sinistro e... Accidenti, s'è fuso il thesaurus!
L'indicazione stradale recitava imbocco autostrada Salerno - Reggio Calabria. Una terrificante polenta di veicoli a quattro o adue ruote si disputava ferocemente lo spazio vitale tra urla di clacson, dita medie alzate, stridio di parafanghi, fetore dei gas di scarico e ghignanti avvisi possibili rallentamenti sull'A3 colti sulle frequenze di Isoradio.
I volti oltre i finestrini davano un'impressione irresistibile di odio e rabbia omicida. Vi si disputavano atroci guerre di nervi per disputarsi il passo, tra gente che avrebbe scotennato la madre per guadagnare il vantaggio di un centimetro.
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