Non c'era nessun dubbio che Filippetti Augusto avesse pronunciato quelle frasi con l'intento di dire cose comiche e se conosco bene l'osservatore esterno di cui si parlava più sopra e che spero non abbia smesso di osservare gli avvenimenti, mi sento di poter affermare che anche lui sarebbe stato dello stesso avviso.
C'era una intenzione comica nelle parole di Filippetti Augusto ma vuoi per il luogo che forse non era poi tanto adatto, vuoi per il momento che certamente non era dei più confacenti, vuoi per una mancanza di propensione all'ironia dei nuovi arrivati... sta di fatto che nel bar non si rise per niente e anzi i due guardarono un po' preoccupati quello che di sicuro, con termine scientifico, poteva essere individuato come un autoctono: Sculli non pensò minimamente a questo termine, se si vuole essere proprio sinceri, e Mòlder lo sapeva. Lei lo osservò con leggerezza, come si osserva una cacca pestata facendo scivolare via lo sguardo e si chiese, nel chiuso del suo cuore, se quel buzzurro non fosse irrimediabilmente rincojonito.
- Scusi, noi cercavamo padre Quattrocose... - decise di tagliar corto Mòlder e di risolvere la faccenda una volta per tutte.
- Tutti lo cercano... tutti vorrebbero parlargli. E lui a dire la verità si dice che non si risparmi proprio nel parlare. Che cosa dica però non si sa e perché neppure... Certo la cosa non è fisiologica, si pensa che sia patologica... L'hanno portato all'ospedale di Terni, la cosa va da se, come disse quello che gli si ruppero i freni in discesa.
E il silenzio tornò nel vecchio stanzone del bar colla polvere che lentamente scendeva sulle bottiglie di nocino e anche su quelle di grappa Gagliardini, sul vinsanto del 1985 e sul Sacrantino di Montefalco. Su quelle di limoncino se ne posava molta di meno dato che la bottiglia aveva una forma molto liscia e inclinata. Qualche granello si posava anche su Filippetti Augusto e lui restava appollaiato sullo sgabello e appoggiato al bancone, nell'angolo più lontano a tuffarsi e a rituffarsi con grossi spruzzi nei propri pensieri. Mòlder lo guardò come si guarda qualcuno che non si riesce a capire e che non si vuole proprio comprendere, guardò di sfuggita il libro che leggeva, Il circolo Pickwick di Dickens, ne aveva sentito parlare, ma a lui quei mattoni filosofici non erano mai piaciuti, e poi se ne andò fuori senza aspettare la sua compagna. Questa, a dire la verità rimase spiazzata: aveva tante cose da dire a tutti e due (e non tutte amorevoli) e ora uno se ne andava e l'altro si metteva a leggere; di fronte alla prospettiva di dover litigare da sola decise di seguire il collega.
Fuori era una notte stupenda, con la piazzetta illuminata e il grande campanile/torre tutto ricoperto di luce arancione: nessun miracolo, solo l'opera molto laica e materialista del faro che a spese del comune lo illuminava proiettando, per l'appunto, una calda luce arancione capace di porre in risalto i particolari della notevole opera architettonica. La notte era quasi magica: quella roba, per intenderci, che usano in tutti i film per convincere i protagonisti, immancabilmente un lui e una lei, a baciarsi. Mancava soltanto la caratteristica musica di sottofondo; c'era invece un silenzio quasi innaturale per uno abituato alla vita di città e se Mòlder l'avesse baciata forse Sculli si sarebbe sentita molto meglio. Ma lui non aveva nessuna intenzione di baciarla, anzi lei si sorprese nel constatare che era passato vicino al telefono e non aveva telefonato al suo amorino. Si ricordò con leggera stizza di quella volta che di nascosto lo aveva sentito che la chiamava 'pisellina' e un'incazzatura profonda gli si sparpagliò dalla bocca dello stomaco per tutto il corpo.
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