La morte di Anthinea LXII aveva gettato tutto il popolo in lutto. La vecchia imperatrice era stata una gran donna, sotto il suo impero l'umanità si era avvicinata alla realizzazione del suo sogno. Il destino aveva però voluto privare l'imperatrice della gioia di assistere al primo tentativo, il destino non le aveva lasciato inaugurare la nuova era, quella spaziale. Il destino. Così pensavano tutti in Atlantide, ma nessuno supponeva che il destino si chiamasse Reeh e fosse assai più crudele di quanto mai avessero pensato.
Anthinea LXIII era una giovane donna sul vent'anni. Bellissima, pronipote della defunta imperatrice. Ora la giovane era accanto a Clitoh, nella stessa casamatta in cui pochi mesi prima Anthinea LXII aveva assistito al lancio del Luhnic.
Reeh, Alstoh e Brenh attraversarono il piazzale. Vestivano attillate tute di plastica e portavano il casco buttato dietro le spalle. La mole paurosa dell'astronave rendeva ridicolmente piccole le pur notevoli e muscolose figure dei tre uomini. Nessuno li accompagnava. Erano tre uomini soli. Già staccati dal pianeta, già imbarcati in un'avventura che a tratti sembrava addirittura inumana.
Anthinea si riscosse: guardò le tre figure avanzare verso il cono d'acciaio puntato contro il cielo. Si sentiva orgogliosa di appartenere al genere umano!
Mentre Clitoh si chinava sui suoi apparecchi, l'imperatrice corse fuori. Attraversò lo spazio illuminato e si buttò fra le braccia di Brenh. L'uomo la strinse a sé, commosso, e Anthinea lo baciò a lungo sulla bocca. Poi baciò Alstoh, e fu la volta di Reeh. Le labbra dell'uomo non si mossero sotto la dolce pressione di quelle di Anthinea, rimasero fredde. Inspiegabilmente, l'imperatrice ebbe paura. Si staccò dall'uomo e lo guardò negli occhi. Reeh cercò di dare espressione al suo sguardo, ma scoprì ancor più l'abisso che lo divideva dagli esseri di cui portava le sembianze. Anthinea arretrò. Reeh rimase un attimo indeciso se sopprimerla o meno, poi pensò che avrebbe destato troppi sospetti e salì di corsa sull'elevatore che lo avrebbe portato al portello dell'astronave. Alstoh e Brenh seguirono il compagno.
I tre uomini erano già entrati nello scafo affusolato e lucente alla luce dei globi al fluoro, quando Anthinea urlò. Accorsero alcuni uomini addetti alla rimozione delle incastellature, e Anthinea svenne nelle loro braccia.
L'ora fissata per la partenza dell'astronave non poteva essere rimandata per nessun motivo. Sarebbero occorsi giorni per calcolare la nuova rotta se l'apparecchio non avesse lasciato Terrah all'ora fissata.
Tuttavia lo svenimento dell'imperatrice sembrò un così cattivo presagio, che Clitoh per qualche attimo pensò di rimandare l'inizio della grande avventura dell'uomo. Poi scosse il capo e si strinse nelle spalle: chi era lui, per permettersi decisioni tanto grandi? Anthinea era giovane, e da poco aveva assunto il rango di imperatrice, certamente troppe emozioni in di pochi giorni l'avevano sfibrata.
Clitoh diede il segnale. Le incastellature vennero rimosse. Nella grande cabina sferica Brenh, Alstoh e Reeh si accomodarono meglio nelle loro cuccette. I visi di Brenh e Alstoh erano tesi per l'emozione e la paura. Solo Reeh, gli occhi chiusi, sembrava dormire placidamente. E forse Reeh, l'autentico Reeh, dormiva davvero.
Clitoh premé un pulsante rosso: nel ventre di piombo dell'astronave la reazione ebbe inizio: E = mc2.
Tutti gli altoparlanti dell'astroporto e la radio dell'astronave presero a scandire all'unisono la numerazione progressiva che portò, in pochi minuti, alla parola fatale: ZERO!
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