Luhna, alta nel cielo, a una distanza media di 187.000 chilometri, aspettava gli uomini. Ma gli uomini volevano essere sicuri.
L'alba sorse sul grande altopiano artificiale. Quasi volesse restituire la punta al vecchio monte, spianato per costruire l'astroporto, un gigantesco missile si ergeva là in cima brillando alle prime luci dei giorno.
Una squadra di uomini stava lavorando alacremente per togliere l'ultima incastellatura.
Era l'alba del I Periodo dell'anno 3258 di Anthin.
Dalla cima del missile si potevano scorgere, a nord, i luccichii dell'Oceano Atlantico, mentre a sinistra si evidenziava una linea scura: la lunga penisola di Gramh. A ovest, l'oscurità ancora non permetteva di scorgere le acque del Grande Oceano. A sud, il chiarore vivissimo di Sylva, la capitale, si rifletteva nel cielo. Sylva era anche la Città per antonomasia. In tutto il pianeta non esisteva nulla di simile. La sua popolazione superava i cento milioni di anime, i suoi palazzi gareggiavano con le nubi, a cinquecento metri di altezza. Sylva distava dall'astroporto, sorgente sul monte Ulmer, più di mille chilometri. Si affacciava sul Grande Oceano sdraiata sul fondo di un immenso golfo. Ad est, dove il cielo cominciava a tingersi di rosso, si estendeva la maggior parte del continente. La grande Isola degli Anthin, il centro della civiltà terrestre, l'evolutissima Atlantide.
Tagliata in mezzo dalla linea dell'equatore, fin dal tempi più antichi che si perdevano nella foschia della preistoria, era stata teatro dei maggiori eventi umani. Eventi che, uno scalino alla volta, stavano per condurre l'uomo nello spazio. Il resto del pianeta, quasi interamente coperto dalle acque e da giganteschi vulcani, era scarsamente popolato. Da 3258 anni, gli Atlantidi erano riuniti in una sola grande nazione sotto la dinastia degli Anthin.
Le grandi maree prodotte da Luhna, non erano molto sensibili sulle coste della grande isola.
Abolite le guerre interne, gli Atlantidi non avevano mai sentito il bisogno di combattere le tribù selvagge abitanti in altre parti del globo, e cosi il pianeta Terrah faceva placida mente il giro intorno a Shol nel corso di lunghi duecentotrentuno giorni e altrettante notti.
Shol aveva percorso appena un quarto del suo cammino nel cielo, quando i motori atomici del Luhnic, il missile del monte Ulmer, avviarono le loro reazioni. Cinquecento milioni di Atlantidi seguivano le varie fasi della partenza dai loro grandi televisori.
Anthinea LXII, imperatrice di Atlantide, seguiva da una delle casematte dell'astroporto lo scatenarsi delle forze atomiche nel ventre plumbeo del missile. Un grande elicottero a pale l'aveva trasportata ai tremilaottocento metri dei monte Ulmer nel cuore della notte.
Il tecnici e gli scienziati erano eccitati e scortesi. Per la prima volta nella storia del mondo, un oggetto terrestre stava per essere lanciato fuori della gravità del pianeta.
Sul missile non c'era nessuno: solo una quantità di perfezionatissimi apparecchi, che avrebbero comunicato agli uomini tutti i dati necessari per il primo vero viaggio interplanetario.
Il Luhnic si staccò dal suolo, scavando una profonda voragine nel cemento armato dell'astroporto. Nell'intero continente gli uomini trattennero il fiato. Tutti sapevano che la fase più delicata dell'operazione era il superamento dei primi mille chilometri.
In pochi minuti, il missile si mise in rotta. Il suo moto era continuamente accelerato fino a raggiungere la velocità di fuga, poi i motori si sarebbero fermati e il missile avrebbe proceduto per inerzia, rallentando, fino a venire poi agganciato dall'attrazione di Luhna. In spirali sempre più larghe, il Luhnic prese a girare intorno a Terrah. Avrebbe impiegato trentasei ore per raggiungere la velocità di fuga.
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