E' LA FINE
Per una frazione d'attimo non esisto più.
Ma ora sono di nuovo vivo, credo! Sono in piedi, al centro di un forno crematorio, il cielo è nero e vedo cenere ovunque. Poi il cielo sembra staccarsi dalla cenere e alzarsi, torna la luce del sole. Mi guardo: sono nudo ma illeso. La Mercedes è scomparsa. Anche la strada è scomparsa. I contadini sono scomparsi e non c'è traccia del Ministro e delle sue donne. Sono al centro di una grande area bruciata e l'orizzonte è chiuso da alcune colline. Ma qualcuno al sommo delle colline mi spia. Faccio un segno di richiamo con un braccio e un gruppetto di uomini si muove verso di me.
Gente strana però. L'uomo che li capeggia ha una spada in pugno e una pelle di pecora intorno ai fianchi. Si avvicina guardandomi negli occhi, non pare sorpreso. Anche i suoi compagni, pur tenendosi indietro, sembrano tranquilli. Sono tutti armati di bastoni e vestono pelli d'animale. Se sono i sopravvissuti, si sono riorganizzati presto... Il capo si ferma a due passi da me e mi chiede:
- Signum ex Albalonga vidimus venimusque. Hic meam urbem condeam. Quisquis es?
- Ma come parli? Sembri il parroco mio... Io sono Romolo, l'autista del Ministro..
- Autista?
- Sì, guido... - mimo il gesto di chi guida una macchina. Non sembra capire.
- ...ducis? - chiede.
- Proprio "duce" no, ti ho detto autista, sono l'autista del Ministro...
L'uomo alza la spada, ostile, e dice con voce dura:
- Hic dux sum. Impero.
Indica tutta l'area bruciata con un ampio movimento del braccio:
- Hic meam urbem condeam, cui nomen erit Rema universumque tenebit.
Ho paura di cominciare a capire. Trattengo il fiato e chiudo gli occhi. Ma quando li riapro l'uomo seminudo e con la spada è sempre lì.
- Rema? Hai detto "nomen Rema" e "dominerà il mondo"? No, ah Remo, io la so 'sta storia... guarda che non finisce come dici tu...
Guardo Remo con paura. Ormai ho capito ma mi rifiuto di crederci. Io dovrò ammazzare quell'uomo! Prima che possa cercare di fuggire, mi agguantano e mi aggiogano a un rozzo aratro di legno costringendomi a tirarlo per tracciare il solco della futura città. Di tanto in tanto il capo grida:
- Porta! - e gli altri alzano il vomere interrompendo il solco.
Nessuno ascolta il mio lamento. Mi bastonano, obbligandomi a tirare l'aratro.
Sono sporco di cenere e bagnato di pianto e di sudore. Il perimetro è tracciato, su e giù per sette colli, sotto un sole che accende bagliori dalla cenere calda. Remo si avvicina con la spada in pugno e la alza per chiedere la benedizione degli dei a cui vuole sacrificarmi in onore di Rema. Mi si lancia addosso con la spada sguainata per sventrarmi. Istintivamente scarto sulla destra. Remo, sbilanciato, perde l'equilibrio e finisce sulla lama del vomere. E' suo il sangue che cola copioso nel solco appena tracciato.
I pastori si buttano a terra avanti a me. Gli dei mi hanno scelto. Alzo il mio volto al sole, facile profeta:
- Si chiamerà Roma e dominerà il mondo.
I pastori, proni, sussurrano:
- Hic meam urbem condeam, cui nomen erit Roma universuinque tenebit.
Mi adorano. Io, Romolo. Il semidio.
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