S'incamminò lungo una cresta d'arenaria rosa dai venti inclementi, verso quello che sembrava uno sbuffo di fumo nero contro il cielo bianco; per quella che restava pur sempre un'agente, era un altro mistero sul quale indagare. L'ultimo.

Al riparo di una guglia sporgente dal suolo, trasse di tasca un binocolo, e si mise in osservazione. E lo vide.

Di nuovo, rimpianse di non essere nata cieca.

Era di un profondo blu cobalto; lungo una decina di metri, e a forma di fuso. E si contorceva.

Vivo.

Aveva una estremità infissa nel terreno, dal quale, forse, traeva sostentamento. L'altro capo era rivolto verso l'alto, e da quello emetteva cupi vapori nell'aria arroventata. Ima non ebbe alcun dubbio su cosa fossero; aveva già distinto, attraverso la membrana della larva semitrasparente, il corpo trattenuto al suo interno. Un corpo umano.

Non doveva essere una forma di vita dominante. Forse, non era nemmeno intelligente. Non era necessario, in fondo, che lo fosse, per il lavoro che era stata mandato a svolgere. Aprire la strada.