Ha, ovviamente, ragione Darko Suvin (Victorian Science Fiction in the UK, 1983) quando scrive che, in sostanza, la lost-race tale non fa parte della fantascienza, innanzitutto perché nella maggior parte dei casi l'elemento "fantastico" non è più che un'aggiunta spesso non necessaria alla trama di avventura esotica; e poi perché solitamente si tratta di un elemento soprannaturale (come in Haggard) o pseudo-scientifico. Solo in taluni casi la comunità diviene centrale nella storia-con varianti utopiche, distopiche, tecnologiche.
Al motivo esotico si aggiungono tre filoni: Atlantide, la Terra cava, la preistoria. La voga di Atlantide è lanciata dal sedicente saggio di Ignatius Donnelly (1831-1901) Atlantis: The Antediluvian World (1882), poi famoso anche per l'utopico, pessimistico, Caesar's Column (1890). Donnelly tratta la storia del continente scomparso (usata sotto forma di apologo da una lunga serie di autori, da Platone a Francis Bacon) come pseudo-storia, descrivendo un eden scomparso che entra nella mitologia popolare. Il motivo della Terra Cava, il mondo abitabile situato sulla superficie interna del pianeta, raggiungibile tramite entrate in corrispondenza dei Poli, aveva dato la fama a un certo John Cleves Symmes, e al romanzo Symzonia pubblicato nel 1820 da un certo "Adam Seaborn" (forse lo stesso Symmes), e aveva forse ispirato il Gordon Pym di Poe (1838) e il Viaggio al centro della terra di Verne (1867). A questo filone, fra gli altri, apparterrà il primo esempio americano di utopia di sole donne (rigorosamente, enfaticamente bianche), Mizora, uscito a puntate sul Cincinnati Commercial nel 1880-81. Il motivo preistorico è inaugurato da Stanley Waterloo (1846-1913) con The Story of Ab: A Tale of the Time of the Cave Man (1897), che racconta la storia della scoperta della strada per la civiltà da parte di un eroe peistorico, e raggiunge il grande pubblico con Before Adam (1906) di Jack London, che parla di regressione atavica proiettando la consapevolezza dell'eroe nel passato remoto.
Fra i tanti possibili esempi nordamericani di Civiltà Perdute precedenti all'era delle riviste, ne possiamo scegliere tre. E' degno di nota che l'introduzione rigorosa dell'elemento fantascientifico a scapito del diffuso elemento occulto e soprannaturale porta a opere in realtà abbastanza cupe, critiche della matrice fondamentalmente ottimistica di molte lost races: i "mondi perduti" diventano SF ma smettono di essere dei paradisi (sia pur perduti).
All'insegna dell'ironia e della satira devastante è A Strange Manuscript Found in a Copper Cylinder (pubblicato postumo nel 1888, ma probabilmente scritto intorno al 1870) del canadese James De Mille (1833-80), in cui il manoscritto di un naufrago racconta la storia di una valle dal clima temperato nel Polo Sud, con animali e vegetazione preistorici, in cui si scopre che gli apparentemente mansueti e idilliaci Kosekin hanno creato un'inquietante società basata sul cannibalismo, e su una ricerca della povertà che (alla maniera di Swift) inverte di segno la ricerca di ricchezza. Freschissimo e straordinariamente moderno nel ritmo e nei dialoghi (anche quelli, deliberatamente inutili e inconsistenti, del gruppo di nullafacenti in crociera che ritrova il "cilindro di rame" del titolo), De Mille riesce a dare una descrizione dettagliatissima delle istituzioni del suo mondo alla rovescia. Il romanzo si trasforma da utopia in distopia, con l'elemento satirico sempre più al centro. L'eroe Adam More (con la sua amata Almah, personaggio notevolissimo) cerca di portare fra i selvaggi la luce della civiltà offrendo di sacrificarsi, accettando il ruolo di reietto accumulando ricchezze e permettendo ai virtuosi Kosekin di morire di fame-ma a questo punto la sua storia non può che interrompersi. Il "manoscritto trovato in un cilindro di rame" è un romanzo che meriterebbe una traduzione di rilievo.
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