L'America prima di Amazing
Dov'è finita la frontiera? con la frontiera, dov'è finita la fantascienza?, ci chiedeva l'inchiesta di Silvio Sosio su Robot 41. Questa domanda si porta dentro un paradossi: la fantascienza moderna nasce negli anni in cui negli USA si afferma il mito della Frontiera come motore dell'espansione e della cultura nazionale, ma quel mito (in uno storico e commentatore come Frederick Jackson Turner che ne parla nel 1893) viene proposto precisamente quando la Frontiera viene dichiarata chiusa. Quando i "territori" d'America sono tutti ufficialmente colonizzati dai bianchi europei, un pubblico si mette alla ricerca di nuovi territori per l'immaginario di massa.
Da quel mito nazionale muovono i temi della SF popolare.
C'erano stati l'antica tradizione utopica e dei viaggi in paesi favolosi, fino ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift; l'Ottocento aggiunge il Frankenstein di Mary Shelley, i racconti di Edgar Allan Poe e dei suoi epigoni. Dopo la Guerra Civile c'è una prima esplosione: la pletora di romanzi sulle Guerre Future, il rifiorire dell'utopia promosso da Edward Bellamy, le riconsiderazioni più o meno ironiche dei motivi del fantastico che negli stessi anni faceva Mark Twain (il più ingiustamente dimenticato nelle storie della "protofantascienza"); il secolo si conclude con l'avvento di Jules Verne e H. G. Wells. Silenziosamente, lentamente, progressivamente, tutti questi filoni si avvicinano, prendono forma insieme. E lo fanno soprattutto in America, grazie a quel mito, quando - dopo Twain, Verne, Wells - il pubblico si allarga a nuovi lettori.
Soprattutto, questo succede quando alle pubblicazioni in volume, più economiche come per i dime novels, fatti per esser letti e buttati, o più prestigiose e fatte per esser conservate, si aggiungono le riviste. Prima di Amazing, il principale spazio per la SF sono i pulp generalisti, fra cui quello di maggior successo è The Argosy, che nel 1896 si specializza in letteratura popolare (dopo un paio d'anni come juvenile e poi come rivista illustrata), lanciata dall'editore Frank A. Munsey come "la più grande rivista del mondo", con riferimento anche al formato. Solo più tardi, dopo la Prima Guerra Mondiale, si impongono le riviste specializzate nei vari generi e sottogeneri: western, giallo, rosa, azione, marineria, aeronautica, sport, orrore e SF.
Pubblicazioni come Argosy erano meno prestigiose delle grandi riviste letterarie o di informazione (Harper's e The Century, che dominavano il mercato a fine Ottocento, o come The Atlantic, The Saturday Evening Post e Collier's che ne raggiungono il successo dopo il 1910) che troneggiavano nelle case della borghesia medio-alta. Nondimeno (ci ricordava il critico e collezionista R. D. Mullen su Science-Fiction Studies nel 1995) si trattava di riviste fatte per essere rilegate-solitamente staccando ed eliminando le pagine di pubblicità, limitata a sezioni separate stampate su carta patinata-in volume e conservate in salotto: una letteratura per la borghesia piccola e media di recente alfabetizzazione. Un nuovo pubblico, fatto di centinaia di migliaia di acquirenti, dopo Argosy, si rivolgono The Popular Magazine (1903), The All-Story Magazine e The Blue Book Magazine (1905), People's Magazine (1906), The Cavalier (1908), e altre. Al gruppo Munsey si aggiungono la Street & Smith dal 1905 e altri concorrenti negli anni della Prima Guerra Mondiale, che però porta a un aumento dei costi e alla fusione di molte testate; nel 1920 Argosy-Allstory, divenuta settimanale dopo aver anche assorbito The Cavalier, riporta la catena Munsey in testa alle vendite. Ma quelli sono gli anni in cui gli altri gruppi, come Street & Smith, Clayton, Dell, Fiction House e il NewsStand Group cominciano a rivolgersi a un pubblico di massa, meno abbiente e più chiaramente "popolare", con le riviste specializzate. E la parola pulp acquisisce le sue connotazioni moderne.
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