Matteo arrancava verso l'interruttore, le dita in preda a contrazioni da spastico. - Biiii, gliiii, duulii, giuuuurk... - con il volto di uno che fronteggia un vento violentissimo. Compresi di avere la stessa espressione.
Poi riuscì finalmente a girare l'interruttore.
Eravamo a terra, affannati, la schiena contro il muro. Gli oggetti, lentamente, ripresero il loro significato ordinario. Ma molto lentamente; in realtà, per il resto del giorno nessun oggetto tornò a essere del tutto normale.
- Be', adesso sai di che si tratta.
- Cazzo! - fu l'unica cosa che mi venne di dire.
- Bisogna azzerare tutti i canali. Adesso hanno valori casuali, perciò trasmettono quella cosa. Dobbiamo prima azzerarli tutti. Zero emissione. Poi iniziamo a provarli singolarmente uno dopo l'altro.
- Ma se hai detto che non sai quanti sono!
- Li filtriamo. Ritagliamo un gruppo di canali al centro e ci concentriamo solo su quelli. Diciamo un centinaio di migliaia. Solo che non si può fare senza PC. - Mi guardava come un bambino che chiede alla mamma il terzo Kinder Bueno.
Mi alzai, mi aggiustai i capelli, mi portai una mano al mento e la misi a giocare con la barba di due giorni mentre fissavo i circuiti. Alla fine dissi: - Raccogli 'sta munnezza e andiamo a casa mia a fare l'interfaccia.
- Sono cinque anni che ci lavoro! Ci sono riuscito! Cazzo, cinque anni!
Una volta a casa mi misi subito al PC. Matteo si piegava con le mani unite e rideva stridulo, e saltava, si picchiava la fronte in un modo che era difficile interpretare come il tentativo di spostare i capelli che gli cadevano sugli occhi. E spiegava da quanto tempo ci lavorava e come ci era arrivato. Insomma, mi distraeva, così dissi ai ragazzi di imbottirlo di qualcosa di forte per farlo addormentare, e quando loro ci riuscirono iniziai a lavorare meglio.
Volevo arrivare almeno a resettare i canali prima della necessità di andare a pisciare; a tratti la mia tastiera e altri oggetti ancora sembravano esistere solo per spaccarmeli in testa, e non volevo regalare a nessuno quell'esperienza, ma se mi allontanavo era inevitabile che i ragazzi avrebbero giocato con quell'affare.
Mi misi a studiare il materiale di Matteo. C'erano dei file con varie specifiche, dei circuiti elettronici e una piccola biglia nera che compresi essere la terminazione da cui partivano le onde. Quelli che lui chiamava canali erano effettivamente un problema. Era roba analogica, quindi bisognava filtrarla e partizionarla per poterla gestire col PC. Alla fine, il concetto che mi sembrava di capire era che a ogni canale o, meglio, a gruppi di quelli, sarebbe corrisposta una sensazione trasmissibile al cervello con una intensità programmabile. Tipo: fame, impostavi l'intensità, e il tizio esposto alle onde provava più o meno fame.
Non c'era traccia invece della possibilità di trasmettere concetti compiuti, come un testo. Ma questo l'avrei chiarito in seguito con Matteo.
Dopo due ore avevo filtrato, partizionato e azzerato i centomila canali. Avrei potuto pisciare, ma la curiosità di ascoltare qualcosa subito mi trattenne. Accesi il trasmettitore e aumentai l'intensità di un canale. Niente! Non successe nulla. Aggiunsi altri canali, ancora nulla.
Poi ne beccai uno cazzuto. Beeello! Una roba megalitica, impossibile! Era come se vedessi cose fantastiche, tipo quella computer art con cui avevo vinto in Danimarca. Ma in realtà non vedevo nulla; ero sensitivamente dentro quella roba, pur senza vederla.
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