Dire che i risultati del n. 41 di Robot, il numero uno della nuova serie se volete, mi hanno lasciato piacevolissimamente stupito sarebbe dire poco. Sono stati sottoscritti circa 400 abbonamenti nel giro di un mese e mezzo e sono state vendute diverse centinaia di copie singole. Se calcoliamo che la tiratura, in francescana umiltà, era di 1000 copie; che la pubblicità alla rinascita della rivista è stata fatta soprattutto via Internet e via posta, anche se non si può sottacere la grandissima mano che ci ha dato la stampa, dai quotidiani ai settimanali ai mensili, nonché le pubblicazioni di settore (be', io sono mammasantissima della SCUF, la Sacra Corona Unita Fantascientifica; un po' di inghippi li saprò combinare, no?); che una vendita di 800 copie a numero ci dovrebbe permettere di proseguire il lavoro in tranquillità, anche se non diventeremo ricchi: che vuoi di più dalla vita? Io m'accontento.
Ciò che ho visto, intuito, fiutato (anche alla festa piacentina del 15 marzo, che oltre a Robot celebrava i cento numeri di Nova SF* e i primi due di Urania Collezione, con ottanta persone da tutta Italia riunite a cena nel nome della fantascienza, e non mi pare uno scherzo) è che tantissimi lettori sentivano fisicamente la mancanza di Robot. Da troppi anni. Quanti mi hanno detto: "Ah, finalmente una vera rivista di fantascienza su carta da leggere al gabinetto!" Okay, ammettiamolo, potremmo addirittura essere i re dei water fantascientifici italiani! Ma certo, il water è una metafora. Nessuno di noi ha qualcosa contro gli stitici, ci mancherebbe. Però una rivista come questa ci voleva, e su carta (non igienica, sorry).
Insomma, siamo partiti con il botto. Al quale botto, ahimè, sono purtroppo seguiti eventi interni alla casa editrice che hanno portato a un triste ritardo nell'uscita di questo numero e alla trasformazione da Solid Books a Delos Books. Non sta a me spiegare; ve ne parlano altrove i diretti interessati, Franco Forte e Silvio Sosio. Adesso le cose si sono appianate, siamo tornati alla normalità, e la speranza, l'impegno è fare in modo di garantire per il futuro uscite regolarissime, magari anche col recupero di una parte del tempo perso. Di certo posso dire che sono già all'opera sul materiale narrativo per il n. 43, e ho trovato cose che mi paiono di livello eccellente, diverse l'una dall'altra ma accomunate da una notevole qualità letteraria. Perfetto, continuiamo così, cari autori italiani. State andando benissimo.
In quanto a racconti, non scherza nemmeno questo numero. Ed è per me un piacere particolare, lo confesso, poter ospitare una bellissima storia di Renato Pestriniero, una di quelle sue fantasie d'ambiente veneziano scritte in punta di penna, con una sapienza che vedo crescere di continuo nella sua produzione. Renato è non solo un autore che ammiro da sempre ma anche uno dei più cari amici della mia vita, e uno dei rimpianti che mi sono sempre rimasti dopo la chiusura della prima Robot è stato proprio non aver pubblicato qualcosa di suo. Ci avrei tenuto, e penso che nemmeno a lui avrebbe fatto schifo, ma sapete com'è, uno fa una rivista e crede di avere a disposizione tutto il tempo del mondo, non immagina la fine, non vede confini; non si mette fretta. Poi le riviste chiudono, i direttori imbiancano, gli autori crescono... Olè, allegria! Abbiamo finalmente rimediato, e alla grande, con uno di quei racconti che colpiscono al cuore.
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