Ma anche l'evoluzione della vita su un pianeta adatto a ospitarla ha i suoi tempi di crescita. A parte il tempo necessario per la formazione dei composti chimici indispensabili alla vita, come acqua, numerosi composti del carbonio e dell'ossigeno e, appena possibile, quella di un'atmosfera, occorre anche attendere la paziente diffusione delle forme di vita più semplici, che contribuiranno anch'esse, con i prodotti dei loro processi biochimici, a rifornire la biosfera con sostanze necessarie alla vita delle forme superiori e organicamente più complesse. Sappiamo che sulla Terra il tempo trascorso dalla formazione dei primi microrganismi alla comparsa dei mammiferi non E' stato inferiore a tre miliardi di anni. Se pensiamo poi che il tempo che separa oggi l'universo dalle sue primissime fasi di altissima densità e temperatura E' certamente non inferiore a 10 miliardi di anni, dovremmo dire che, molto probabilmente, un tempo sensibilmente inferiore non sarebbe stato sufficiente per avere in alcun luogo del cosmo delle forme di vita simili a quelle che oggi conosciamo sulla Terra.

Un tentativo di formalizzare almeno alcune delle precedenti condizioni, allo scopo di stimare quale possibilità vi sarebbe di entrare in comunicazione (plausibilmente via radio) con altre forme di vita intelligente, almeno all'interno della nostra galassia, fu quello suggerito da Drake nel 1961. L'impiego di quella che sarà poi nota come "equazione di Drake", concerne il computo di una serie di probabilità restrittive, che vengono fra loro moltiplicate allo scopo di valutare il numero N di civiltà potenzialmente in comunicazione. Nella formula proposta, N = R* fp ne fl fi fc L, con R* si indica la rapidità (rate) di formazione di stelle centrali con proprietà energetiche adeguate, fp indica la frazione di esse che potrebbe avervi associati dei pianeti, ne il numero di essi con condizioni simili a quelle della terra, fl , fi ed fc le frazioni che misurano su quanti di essi potrebbero svilupparsi, rispettivamente, la vita, la vita intelligente e la vita intelligente a livello di civiltà tecnologica. L'ultimo fattore, L, regola la "vita media" di una civiltà tecnologica su un pianeta. Le stime di N sono, come prevedibile, assai diverse. Al valore approssimativo N = 100.000, secondo il computo proposto originariamente da Drake, altri oppongono un valore di circa 100, sebbene non manchino studiosi di opinione assai diversa, per i quali ci sarebbe solo una civiltà tecnologicamente sviluppata e attiva ogni 300 galassie (cfr. F. Drake, Nuove prospettive per la Galassia, in R. Colombo et al. 1999, pp. 118-127; J. Oró, Vincoli per lo sviluppo della vita intelligente, in ibidem, pp. 83-107; le stime più critiche sono di Rood e Trefil, Are We Alone?, New York 1981).

Come opportunamente messo in luce da alcuni autori (cfr. McMullin, 1980, pp. 83-84), il principale limite di equazioni di questo tipo E' che noi non abbiamo un modello realistico capace di descrivere in modo soddisfacente quei processi le cui frazioni di probabilità di occorrenza vengono computate. Per conoscere ad esempio quale frazione di stelle potrebbe avere dei pianeti simili alla terra, dovremmo avere un preciso modello di formazione di pianeti da nubi stellari, con parametri che descrivano le varie caratteristiche dei pianeti formati, in modo da selezionare quanti sono quelli giusti, cosa che oggi non possediamo. Le cose si complicano se pensiamo che conosciamo assai meno del perché si origini su un pianeta la vita e tanto meno la vita intelligente, e dunque non abbiamo alcun modello realistico per valutare se questo debba accadere un certo numero di volte o nessuna. La logica di una teoria statistica, come ad esempio la teoria cinetica dei gas, E' quella di fondarsi sulla conoscenza di processi noti, ad esempio quelli che regolano il moto di una particella, e dedurne così un comportamento medio su larga scala. Una teoria statistica sulla formazione di pianeti con biosfere, ma soprattutto sulla formazione della vita, non E' rigorosamente possibile; e ciò sia perché non conosciamo le modalità di questi processi con un sufficiente grado di accuratezza, sia perché abbiamo in natura un unico evento conosciuto, noi terrestri, per la cui presenza non siamo in grado di distinguere con sicurezza cosa sia necessario e cosa potrebbe non esserlo.

E' inevitabile che le discipline scientifiche che si accostano al tema della vita nell'universo lo facciano cercando di utilizzare quelle deduzioni che possono sembrare ragionevoli, legate alle conoscenze che abbiamo del cosmo e dei suoi ambienti. Allo stesso tempo, riteniamo che in un tema come questo sarà sempre l'induzione, insieme alla pazienza dell'attesa e della scoperta, l'atteggiamento metodologicamente più fondato.