Una capitalità cosmica, e perciò creaturale, del mistero di Cristo
Se il mistero dell'Incarnazione rimanda a una capitalità cristocentrica e non geocentrica, allora esso può essere esplorato ed espresso con categorie cosmiche e universali, non antropologiche. Il terzo punto fermo dovrebbe dunque essere, a nostro avviso, il valore rivelativo e salvifico universale, e non solo locale, dell'Incarnazione. La capitalità di Cristo, Dio-uomo, sulle creature angeliche (cfr. Eb 1,3-14 e 2,5-18) andrebbe interpretata come rivelativa della sua capitalità su tutte le possibili creature (cfr. Ef 1,10; Col 1,20). La grandezza in certo modo infinita dell'unione ipostatica fa sì che anche il sacrificio vicario di Cristo abbia un valore meritorio infinito. Come questo sia applicabile all'intero universo resterebbe per la teologia cristiana un mistero, ma non E' moltiplicandolo che se accresce l'efficacia. La celebrazione della santa Messa, ad esempio, applica in tempi e in luoghi diversi i frutti di quel medesimo evento storico, senza moltiplicarlo. Riteniamo, contrariamente a quanto suggerito da altri autori, che una simile partecipazione di salvezza ed efficacia su un piano cosmico - ove questa fosse necessaria per altri esseri intelligenti e liberi - non possa dipendere né da uno slancio missionario interplanetario, né da una comunicazione mediata (sebbene questi fattori possano e forse debbano operare). Essa potrebbe dipendere solo da un'economia guidata dallo Spirito Santo, anch'essa operante con modalità a noi sconosciute, ma certamente l'unica in grado di assicurarne l'universalità e l'interiorizzazione. Analogamente a quanto avviene nell'economia salvifica terrena, lo Spirito condurrebbe ancora al Figlio e lo renderebbe in qualche modo presente. Il tutto, nella logica convinzione che il Creatore abbia in ogni luogo i suoi modi di farsi riconoscere, e forse anche di farsi presente presso le sue creature.
Sulla storia personale di eventuali esseri intelligenti, responsabili della loro libertà di fronte all'unico Dio, Padre e Creatore di tutti (cfr. Ef 4,6), non possiamo dire nulla. Possiamo però affermare che, in quanto creature, il mistero di Cristo, Verbo incarnato, non E' a loro estraneo. Dio ha assunto in Cristo un natura creata, una volontà e una libertà finite, facendo propria l'esperienza del limite e della creaturalità e ciò ha un valore che va certamente al di là della creatura "umana" in quanto tale. Ma Cristo ha assunto su di Sé anche la realtà della morte e ne ha rivelato la non ultimità, prefigurando nel suo corpo risorto un destino che appartiene all'intero universo e non solo all'uomo. Ma quale risonanza avrebbe questo per altre creature i cui rapporti originari ed originanti con Dio noi ignoriamo? In una prospettiva in cui la morte biologica fosse una conseguenza che dipende in modo diretto, totale ed esclusivo dal peccato originale di Adamo, non avremmo più nulla da dire e resteremmo comunque in attesa di un chiarimento teologico che migliori la nostra comprensione delle cose. In una prospettiva che lasciasse invece un maggiore spazio di manovra, il termine del ciclo vitale di un essere creaturale, non necessariamente legato a un peccato d'origine, potrebbe essere visto come il luogo dell'accettazione cosciente della sua creaturalità e finitezza, il luogo
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