La motivazione che sostiene simili ricerche - oltre agli aspetti filosofici precedentemente segnalati - si basa su un'interpretazione ottimista dell'equazione di Drake e sul fatto che, col semplice procedere del tempo, aumenta proporzionalmente al cubo della distanza il volume di spazio nel quale viaggiano i segnali radio terrestri, e dunque aumenta anche la probabilità di ricevere possibili risposte. Le onde radio di produzione terrestre hanno fino a questo momento raggiunto le stelle (ed i possibili sistemi planetari ad esse associati) entro un raggio di circa 70-80 anni luce, facendoci per il momento concludere che all'interno di una distanza di circa 30 o 40 anni luce dal sole non esistono civiltà extraterrestri, o comunque, se esistono, esse non sono in grado o non hanno forse l'intenzione di rispondere ai nostri segnali. Va anche ricordato in proposito che nel 1974 il grande radiotelescopio di Arecibo (Portorico) fu esplicitamente utilizzato per inviare, nella direzione dell'ammasso globulare M13, un messaggio radio di 1679 bit in codice binario, decodificabili in una immagine in bianco e nero contenente informazioni sulla terra e sulla biologia umana. Sono allo studio per le prime decadi del XXI secolo progetti di radiotelescopi interferometri in orbita attorno alla terra o sulla faccia nascosta della luna (in ombra cioE' dai segnali di origine terrestre), allo scopo di aumentare il potere risolutivo e la sensibilità della ricezione di possibili segnali intelligenti extraterrestri.

Per i più ottimisti, come il radioastronomo Ron Bracewell (1982), fra le tante civiltà tecnologiche che popolerebbero l'universo sarebbe in atto già da tempo una rete comunicativa, una sorta di Club delle Galassie, del quale gli umani dovrebbero entrare quanto prima a far parte. Ma all'ipotesi che la presenza di civiltà avanzate possa essere un evento assai diffuso E' stato spesso obiettato che finora, né nel presente né in un passato storico, vi sono stati contatti con esse. Se nella nostra galassia ve ne fossero un milione, esse sarebbero separate dalla distanza di circa 100 anni luce l'una dall'altra. Storicamente conosciuto come "Paradosso di Fermi" - dal fatto che fu il fisico italiano, quasi per gioco, durante un pranzo a Los Alamos a fare per la prima volta nel 1950 questo tipo di conti - questo problema viene spesso indicato in via colloquiale con l'interrogativo where are they? (dove solo "loro"?). Le risposte proposte sono state varie. Si va dal suggerimento che tali contatti sarebbero già avvenuti in epoche nelle quali gli umani non erano ancora in grado di apprezzarli, al fatto che vi sarebbe una certa resistenza ad instaurare tali rapporti a causa dell'enorme differenza tecnologica o perfino culturale nei nostri confronti, differenza che potrebbe anche giustificare una sorta di "trasparenza" della loro presenza in mezzo a noi. Le variabili del problema, molte delle quali certamente extra scientifiche, sono però tali da considerare il paradosso di Fermi un utile avvertimento ma non un argomento apodittico. Considerazioni analoghe a quelle di Fermi, corredate da opportune soluzioni, erano state fatte già attorno al 1930 da Kostantin Tsiolkovsky (1857-1935), all'interno di un clima filosofico noto come pancosmismo russo (cfr. V. Lytkin et al., Tsiolkovsky, Russian Cosmism and Extraterrestrial Intelligence, "Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society" 36 (1995), pp. 369-376).