Rotta verso la Terra
Tutte queste valutazioni concorrono a massimizzare la durata di vita del manufatto e quindi dovrebbero essere in assoluto le scelte preferibili anche da eventuali civiltà extraterrestri. Allo stesso tempo riducono a solo cinque le zone dove sarebbe più opportuno collocare i manufatti e quindi trovarli:
1) tutte le orbite comprese tra due sfere concentriche con la Terra al centro e raggio rispettivamente 70.000 e 326.400 km;2) tutte le orbite intorno alla Luna, tra i 3.000 e i 58.100 km di altitudine dal suolo lunare;
3) le orbite stabili ai punti Lagrangiani L4 e L5 del sistema Terra-Luna;
4) le orbite instabili ai punti Lagrangiani L1 e L2 del sistema Terra-Luna;
5) le orbite stabili ai punti Lagrangiani L4 e L5 del sistema Sole-Terra.
Così, proprio in base a queste considerazioni, tra il 1979 e il 1982, il SETA effettuò la prima grande campagna di osservazione e lo stesso Robert Freitas, affiancato da Francisco Valdes, fu il primo scienziato a cercare manufatti alieni nello spazio. Il metodo che utilizzò fu quello osservativo, puntando i grandi telescopi astronomici di Leuschner e Kitt Peak su 4 delle 5 zone maggiormente favorevoli. Inutile dire che le ricerche non portarono ad alcun risultato, benché vada sottolineato il fatto che era come cercare un ago in un pagliaio, visto che probabilmente l'eventuale oggetto alieno avrebbe potuto essere rilevato solo grazie ai deboli riflessi provocati dalla luce solare sulla sua superficie. Come fa osservare a questo proposito Massimo Teodorani, astrofisico del CNR assai noto per i suoi studi sui fenomeni luminosi atmosferici, chi può dire quali sarebbero i risultati di una medesima campagna di osservazione effettuata oggi, con i sofisticatissimi strumenti che abbiamo a disposizione in grado di distinguere una persona sulla superficie lunare? Malgrado la mancanza di risultati, anche in questo caso, con la formalizzazione del protocollo di ricerca SETA, la scienza ufficiale ha fatto un altro passo avanti rispetto allo studio delle intelligenze extraterrestri: un'importante mossa di avvicinamento verso la Terra che copre molti ambiti lasciati inesplorati dal SETI. Tra questi il SETA non esclude neanche la possibilità dell'esistenza del cosiddetto "alone di sonde abitate", come teorizzato dagli studi del fisico americano Freeman Dyson. In pratica, a fini squisitamente esplorativi, oppure per scampare alla trasformazione di una stella come il Sole, che a un certo punto della sua vita si trasformerà in gigante rossa inglobando così sia l'orbita della Terra che quella di Marte, civiltà extraterrestri estremamente antiche potrebbero aver costruito pianeti artificiali in grado di muoversi nello spazio come immense arche cosmiche, alla ricerca di un nuovo posto dove stabilirsi. Considerato che la tecnologia che abbiamo oggi sulla Terra sarebbe già in grado di fabbricare simili oggetti, l'idea che qualche altra civiltà cosmica molto più antica della nostra, possa già averlo fatto, non può essere del tutto esclusa a priori. La ricerca di Sfere di Dyson, così come vengono talvolta chiamati oggetti di questo genere, potrebbe essere intrapresa anche attraverso il rilevamento delle emissioni di raggi infrarossi, di segnali spettrografici derivati da processi nucleari o dall'individuazione di sorgenti di onde ad altissima frequenza. E qualche ricerca in questo senso, benché incompleta e senza risultati significativi, è già stata fatta. Insomma, dopo le prime conquiste del SETI e l'evoluzione del SETA, solo una cosa mancava ormai alla scienza ufficiale per giungere sullo stesso terreno di caccia dell'ufologia: cercare presenze di visite extraterrestri sulla Terra. E da qualche anno la scienza ufficiale fa anche questo.
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