Fantasia & Nuvole

di Francesco Grasso

fgrasso@fantascienza.com

I fumetti ucronici

Anche nell'universo delle nuvole parlanti il sottogenere della fantascienza dedicato alla "Storia Alternativa" ha trovato, negli anni, modo di esprimersi. Sebbene sia difficile identificare un autentico capolavoro fumettistico ispirato all'argomento, vi sono certamente opere, appartenenti alla scuola argentina, ma anche a quella europea, degne di menzione. E appunto a tali opere è dedicata questa puntata di "Fantasia & Nuvole". Andiamo dunque a cominciare...

e se hitler avesse avuto la bomba...?

Le possibili varianti storiche alle vicende del Terzo Reich hanno affascinato autori e disegnatori di fumetti almeno quanto hanno intrigato romanzieri SF e scrittori di narrativa tout court. Tra gli spunti più notevoli, è sicuramente da citare la serie Zeit Project, scritta da Ricardo Barreiro (autore di Barbara e La città) e disegnata da Rodriguez. In breve, la trama...

Siamo in piena guerra fredda. Alain Lizard, un pilota francese, sta partecipando, alla guida del suo velivolo da trasporto, al ponte aereo con cui i governi occidentali riforniscono Berlino Ovest affamata dal blocco sovietico. A causa di un imprevisto, Alain è costretto ad un atterraggio di fortuna, durante il quale perde i sensi. Al risveglio, lo attende una sorpresa sconvolgente: la Berlino che lo circonda non è la città sconfitta e divisa in due dagli alleati, ma una metropoli ancora vigorosa e saldamente in mano ai nazisti. E' un universo alternativo, in cui inspiegabilmente egli si trova intrappolato.

Poco a poco, il francese mette a fuoco la situazione. La guerra mondiale, gli viene rivelato, non è mai finita: i tedeschi, che in questi anni cinquanta alternativi dispongono di armi atomiche, di radar avanzati e di aerei-razzo sofisticatissimi, hanno ricacciato indietro i russi, nuclearizzato Londra e sventato lo sbarco in Normandia. Hitler è morto, e al suo posto siede adesso Martin Bormann. Si continua a combattere in cielo e in terra, ma l'Europa è ben lontana dall'essere liberata dall'incubo della svastica.

Ma dov'è avvenuta la biforcazione degli eventi? Alain, dopo varie peripezie, apprende la verità. Nel 1943, un'equipe di fisici tedeschi, battezzata Zeit Project (Progetto Tempo) ha in segreto realizzato un Portale Temporale, un dispositivo in grado di viaggiare nel tempo e nelle dimensioni. Bormann, per due anni, ha provato inutilmente a usare la rivoluzionaria invenzione come arma. Ha sempre fallito: il Portale, da solo, non serve a nulla; per funzionare, ha bisogno di un suo omologo "di uscita" nel segmento spazio-temporale di arrivo.

Bormann ha compreso il suo errore solo nell'ultimo giorno del Reich, nel bunker di Berlino, e ha deciso di sfruttare comunque il Portale per fuggire dalla città condannata. Così, insieme ai suoi fedeli (e ai piani della bomba atomica, trafugati agli americani dalle sue spie), si è spostato nell'unico luogo dove sapeva di trovare un Portale di arrivo: nel suo stesso laboratorio, due anni prima.

Senza alcuno scrupolo, ha ucciso il suo alter-ego del 1943 e ha preso il suo posto. Conosceva le vicende della guerra con due anni di anticipo, e se n'è servito per i suoi scopi. Tolto di mezzo Hitler con un attentato, ha ottenuto il controllo dell'esercito, preso in contropiede gli alleati (di cui sapeva in anticipo le mosse), realizzato la bomba atomica e dato un nuovo corso al conflitto.

Scoperta questa drammatica verità, Alain riesce a sfuggire ai nazisti, e a rientrare nel proprio continuum temporale attraversando il Portale. Ma il ricordo di una ragazza conosciuta nel presente parallelo dominato dal Terzo Reich continua a tormentarlo, finché il francese cede alla passione e decide di tornare indietro, a sfidare l'ira di Bormann e a lottare per la libertà anche di un mondo che non è il suo.

Punti forti di un fumetto coinvolgente (anche se svilito da un disegno non sempre all'altezza), le innovazioni tecnologico/belliche ipotizzate dall'autore. Barreiro propone una teoria accreditata del resto da numerosi storici: col bagaglio di scienziati e la potenza industriale di cui disponeva, egli dice, se la Germania nazista avesse avuto qualche anno in più a disposizione, avrebbe partorito nel campo degli armamenti diavolerie indicibili. Ed ecco perciò che ci vengono mostrati, nelle vignette di Zeit Project, i mirabolanti gioielli della rediviva Luftwaffe, gli aerei razzo, a turbina, a reazione. E poi treni corazzati, nuove apparecchiature radar, bombardieri intercontinentali, esoscheletri per la fanteria, armi laser, e chi più ne ha più ne metta. A suggellare questa impostazione "tecnica", Barreiro e Rodriguez chiudono ogni puntata della serie con una scheda di progetto, in genere straordinariamente verosimile. Di certo Barreiro, grande conoscitore d'armamenti e di aviazione militare, ha compiuto le sue brave ricerche, e i risultati si vedono. Una dimostrazione di professionalità ammirevole, per un fumetto che forse avrebbe meritato maggior fortuna.

D'altra parte, non si possono negare aspetti meno positivi, come il già citato tratto di Rodriguez, spesso grossolano e approssimativo, o un'attenzione inspiegabilmente rivolta più all'aspetto sentimentale della vicenda che al nocciolo, cioè l'ucronia. La narrazione di Zeit Project sembra a volte "fuori fuoco", nel senso che ciò che più interesserebbe il lettore viene lasciato ai margini del campo visivo, mentre il centro dell'inquadratura è occupato da dettagli assolutamente trascurabili. Insomma, sarebbe interessante sapere come il Terzo Reich sia cambiato a seguito della scomparsa di Hitler, oppure cosa sia avvenuto sugli altri fronti (nel Pacifico, per esempio), o ancora se l'Italia sia rimasta in guerra a fianco della Germania o sia una delle nazioni occupate dalla Wehrmacht... Invece Barreiro e Rodriguez sbrodolano sulla love-story tra Alain e la bella scienziatina ebrea, tra l'altro con un pudore e un perbenismo che lascia doppiamente insoddisfatto il lettore. Peccato.

...e se invece avesse scelto un altro mestiere?

Più paradossale, ma anche più inquietante, la miniserie Peter Kampf lo sapeva, di Trillo e Mandrafina.

La vicenda si snoda seguendo la ricerca che il protagonista, un editore francese, compie a New York sulle tracce di un fumetto (titolato appunto Peter Kampf) di cui qualcuno tenta di far scomparire ogni traccia. Perché tanto accanimento, si chiede il protagonista, contro una striscia disegnata? A chi può dar fastidio Peter Kampf, storia a vignette di un giustiziere alto e biondo che lotta contro nemici con fattezze ebraiche? E soprattutto, chi è il misterioso autore del fumetto, un oscuro disegnatore austriaco, emigrato negli Stati Uniti negli anni '30 forse per sfuggire alla prigione?

Seguendo le tracce di quest'uomo senza volto, il protagonista scova altre sue opere (come Superior man, fumetto narrante le gesta di un eroe ariano in calzamaglia), e infine rintraccia il suo nome. Si tratta, egli scopre, di un certo Adolf Hitler, immigrato morto in miseria al termine di una sfortunata carriera di disegnatore e di un'ancor più disastrosa esperienza da politico.

Da questa rivelazione in poi, l'ucronia diventa palese, e il lettore viene catapultato in una girandola di avvenimenti sempre più assurdi e minacciosi. Il fulcro per la biforcazione storica sembra esser stato, in questo caso, il grande crak di Wall Street del 1929. Nel mondo di Peter Kampf la Borsa ha retto, la speculazione dei mercati non è avvenuta, e senza le tensioni sociali prodotte dalla crisi economica il nazismo non ha avuto modo di farsi strada.

Un ventesimo secolo alternativo idilliaco, insomma? Non proprio. Se l'Europa di Peter Kampf non ha conosciuto gli orrori della guerra, l'America rivela invece segnali inquietanti. Vediamo infatti il candidato presidente degli Stati Uniti, l'ex-attore John Wayne, impostare la sua campagna elettorale su un concentrato di slogan razzisti, sul culto dell'America Bianca, sui valori della virilità, della forza e dell'onore... Lo vediamo scegliere come consigliere per le pubbliche relazioni un piccoletto claudicante dallo sguardo cattivo, anche lui giunto dall'Europa... un certo Joseph Goebbels.

E' proprio Goebbels, ci viene rivelato, l'oscuro personaggio che tenta di far scomparire Peter Kampf. Scopo di questa manovra, utilizzare il fumetto come arma propagandistica. Goebbels rivela di essere rimasto affascinato dalle vignette di Hitler (che peraltro, in questo mondo alternativo, non ha mai conosciuto), e di volerle ritirare dal mercato, per assicurarsene l'esclusiva e poi lanciarle in grande stile, nelle scuole e sui maggiori giornali, come veicolo per propagandare tra le masse l'odio razziale e la superiorità del ceppo ariano.

Attraverso gli occhi del protagonista (e supportato dall'appropriatissimo disegno di Mandrafina, un grande quando si tratta di dipingere il paradossale), Trillo ci mostra uno scenario terribilmente plausibile e allarmante: linciaggio di neri, ispanici perseguitati, discriminazioni, apartheid, manipolazione della memoria storica... La Seconda Guerra Mondiale, dice Trillo, è stata senza dubbio una catastrofe epocale... Però è servita come monito, per aprire gli occhi all'umanità sui pericoli del fanatismo e dell'odio razziale.

Il messaggio è chiaro: un mondo in cui Hitler si è dedicato al pennello e all'inchiostro di china non è per questo salvo dallo spettro del nazismo. Perché, ricordiamolo, la madre dei dittatori è sempre incinta. Occorre vigilare, vigilare sempre, e se anche un fumetto può servire a non farcelo dimenticare, ben venga.

un nemico in più per l'impero romano...

Troviamo un interessante esempio di fumetto storico/ucronico anche nella scuola belga. L'opera in questione, a firma dei maestri fiamminghi Hermann e Franz, ha per titolo (e protagonista) Giugurta.

Costui (Iugurtha, per dirlo alla latina), personaggio storico realmente esistito, fu l'ultimo re indipendente della Numidia, potente nazione dell'Africa settentrionale, corrispondente grosso modo all'attuale Algeria, alleata strategica di Roma all'epoca delle Guerre Puniche.

Nel panorama dell'Era Classica Giugurta è senza dubbio una figura notevole, un personaggio di primo piano cui gli storici latini hanno dedicato interi trattati. Il fumetto di Hermann e Franz narra la sua storia con rigore ed efficacia. Riassumiamola in breve: figlio adottivo del re di Numidia, in gioventù Giugurta combatte a fianco dei romani, guadagnandosi il rispetto e l'ammirazione dei legionari. Alla morte del patrigno, una serie di intrighi di palazzo e di dispute familiari porta il giovane principe in contrasto col Senato dell'Urbe. Ucciso il fratellastro Iempsale e cinta una corona insanguinata, Giugurta dichiara guerra a Roma, i cui consoli sostengono l'altro pretendente al trono, Aderbale.

Il conflitto è lungo e sfibrante, e Giugurta si guadagna presto il titolo di "Primo Nemico della Repubblica". Suo più grande merito, magistralmente sottolineato nel fumetto, è quello di capire che, se l'esercito romano non è militarmente battibile, ci sono modi ben più comodi per vincere le battaglie. Per esempio, comprare i generali nemici.

I corrotti e dissoluti ufficiali di Roma, difatti, non chiedono di meglio che ritirarsi dal campo senza combattere, purché generosamente compensati in oro e gioielli. Il bellum Iugurthinum è insomma una "sporca guerra", che vede da un lato un principe eroico e un popolo che combatte sino allo spasimo per la propria libertà, e dall'altro un impero vorace in caccia di bottino, infinitamente potente ma senza motivazioni. E' un Vietnam ante litteram che si trascina per anni, un garbuglio che solo l'intervento del celeberrimo dittatore Silla riesce a dipanare.

E' a questo punto che Hermann e Franz introducono l'ucronia. Giugurta, sconfitto, viene portato a Roma in ceppi e rinchiuso nel carcere Mamertino. Qui, secondo gli storici romani, viene giustiziato. Gli autori del fumetto, invece, decidono che il principe numida è un personaggio troppo ghiotto per un simile spreco, e ipotizzano una fuga rocambolesca e un suo rifugiarsi in Gallia.

In esilio con un pugno di seguaci, col cuore gonfio di odio per i romani, Giugurta diventa il polo d'attrazione e il simbolo di riscossa per tutti i popoli sottomessi o minacciati dagli artigli delle legioni. Grazie alla sua fama, in pochi mesi egli riesce a raccogliere sotto di sé le tribù celtiche, gli Iberi, i Britanni, gli Elvezi, i Belgi e tanti altri. Al comando di un'orda immensa, Giugurta attraversa di nuovo le Alpi, sconfigge l'esercito romano, assedia l'Urbe, e grazie anche a una "quinta colonna" riesce a espugnarla e a saccheggiarla.

Non contenti, gli autori del fumetto decidono di procurargli ulteriori avventure. Così Giugurta lascia i suoi nuovi alleati per un viaggio solitario verso oriente, durante il quale egli affronterà Mitridate, celebre re del Ponto, esplorerà le rovine di Hattusa, l'antica capitale ittita, vivrà con gli Sciti e i Sarmati, conoscerà la cultura cinese dell'epoca Han, e infine approderà nell'Africa misteriosa e crudele degli ultimi secoli prima di Cristo.

Giugurta è un fumetto particolarmente indicato per l'amante dell'ucronia pura, del lettore che senza troppe spiegazioni voglia cogliere il gusto di estrapolare cosa sarebbe accaduto se... Ma può anche essere apprezzato da chi non sappia nulla di Storia e cerchi in un fumetto il puro e semplice gusto dell'avventura. Questa davvero non manca nell'opera di Hermann e Franz. Anzi, per certi versi è addirittura eccessiva, e a volte trabocca dalle vignette come da un recipiente troppo colmo. Certe atmosfere esotiche, certi dialoghi roboanti, diciamolo pure, riportano alla mente antiche letture salgariane... Giugurta, se vogliamo, è un Sandokan con la toga al posto del turbante e il gladium in vece del kriss. Giugurta è, come Sandokan, un eroe coraggioso e perdente, un guerriero che si compiace a battersi sempre dalla parte del torto, ad accettare sfide impossibili, a ruzzolarsi ciecamente nella tragedia come un maiale nel fango. Non possiamo fare a meno di ammirarlo, ma identificarci con lui è davvero arduo.

Nulla da dire sul disegno di Hermann, magistrale nelle scene di massa e nel dipingere antiche armature e completi da battaglia. Un po' inferiore il tratto di Franz (disegnatore della seconda parte della serie): i suoi personaggi sono più sanguigni, carnali; quasi tutti sono inclini alla pinguetudine, ed hanno un'espressione molle che non sempre si confà alla epicità della vicenda. Ciò nonostante, dobbiamo riconoscere anche a Franz un tocco assolutamente personale, e una professionalità del resto comune a tanti altri artisti della ben nota tradizione belga.

...e uno in meno

Ancora un personaggio d'epoca classica è il protagonista del fumetto ucronico degli artisti argentini Mandrafina ed Enrique Breccia. Si tratta, questa volta, di Spartaco, il celeberrimo gladiatore ribelle, interpretato con efficacia da Kirk Douglas nell'omonimo film di Stanley Kubrick.

Il fumetto in questione affronta uno dei quesiti classici dell'ucronia: le azioni che rendono immortali i grandi uomini sono figlie soltanto di una particolare condizione storica? In altre parole, i giganti della Storia sarebbero riusciti ad essere ugualmente grandi se fossero vissuti in epoche differenti? E' questo un dubbio suggestivo, che si presta a innumerevoli estrapolazioni... Napoleone sarebbe divenuto ugualmente imperatore, se non fosse avvenuta la Rivoluzione Francese? Colombo avrebbe scoperto l'America, se fosse venuto al mondo venti anni prima? Lenin avrebbe vinto la sua rivoluzione, senza la Prima Guerra Mondiale?

E Spartaco, si chiedono Mandrafina e Breccia, sarebbe riuscito ugualmente a sollevare gli schiavi e a farne un esercito, se non fosse vissuto in epoca romana?

Per rispondere a questa domanda, gli autori del fumetto ipotizzano che uno strampalato scienziato (nonché viaggiatore temporale) del futuro rapisca il giovane Spartaco dalla sua scuola per gladiatori nella Capua del primo secolo a.C. e lo porti con sé nel venticinquesimo secolo d.C. (dandogli persino un'istruzione musicale, sic!).

Ma il richiamo del sangue, com'era logico attendersi, si fa sentire, e Spartaco non impiega molto per liberarsi del contrabbasso e tornare a impugnare la spada. Perché panem et circenses, a quanto sembra, è anche la filosofia dei padroni del futuro. Un futuro, come lo disegnano Mandrafina e Breccia, particolarmente cinico, cattivo, oppressivo, che non ha superato affatto piacevolezze come la frusta (neuronica, ma sempre frusta), le catene (mentali, ma ancora catene) e la tirannide (televisiva, ma pur sempre tirannide).

Spartaco, dunque, fa onore al suo nome. Diventato una star della trasmissione televisiva del momento (guarda caso, combattimenti di gladiatori davanti alle telecamere, con contorno di spot e di vallette discinte), egli congiura con i compagni di schiavitù, ne diviene il capo, e li guida a combattere per la libertà.

Quod erat demonstrandum? I grandi uomini sono indipendenti dal momento storico che li crea? Così sembra, almeno nel caso di Spartaco. C'è una sola differenza, tra le sue gesta "romane" e quelle che egli compie tra i nostri pronipoti. Una differenza singola, eppure sostanziale, che difatti stupisce e sconvolge lo scienziato-tutore di Spartaco (che in fondo lo considera come una cavia da esperimento). Ma è anche una differenza che, in fondo, ci regala un messaggio di speranza.

Perché alla fine, questa volta, Spartaco vince.

Alla prossima.