Così, fine, una croce sull'idea di fare il giornalista. Da molto molto tempo. Di attività giornalistica ne ho fatta tanta nell'ambito della fantascienza, le cose che ho scritto non si contano (le conta Ernesto Vegetti nel suo catalogo, ma io ho sempre un certo timore nell'avvicinarmi alla mia voce), però morta lì. Un giornalismo specializzato, di genere. Una nicchia.
Poi, sai com'è, le cose cambiano. La vita cabra, vira, si avvita su se stessa, e può precipitare oppure rialzarsi a missile, dipende. Io ho subito metamorfosi che mi stanno benissimo; ho trovato un rapporto più armonioso col mondo e con me stesso, da una quindicina di anni a questa parte, e ironia e umorismo sono diventati le mie principali chiavi di lettura della realtà. Se qualcuno non riesce a farmi incazzare di brutto, come no. Magari ero partito col piede sbagliato quando, quattordicenne, ho letto La nausea di Jean Paul-Sartre e me ne sono lasciato tanto influenzare; magari l'incontro con Achille Campanile (il suo primo romanzo è stato per me Agosto moglie mia non ti conosco) era scritto nel mio destino, anche se alle balle del fato e della predestinazione non credo.
Sia come sia, oggi il giornalista lo faccio, e sul serio, però a modo mio. Non devo uscire di casa, andare in giro; se voglio intervistare qualcuno uso la posta elettronica; più che altro scrivo corsivi, pezzetti dedicati alle cose che succedono qui a Piacenza oppure nel resto del mondo. Ho potuto parlare, ad esempio, della guerra in Irak, del grandissimo casino del campionato di calcio italiano, dei blackout di energia elettrica, per citare solo i primi temi che mi vengono alla mente, sempre ridendo, scherzando, inventandomi raccontini fantastici, ma dicendo chiaro e tondo quel che penso. Sul quotidiano della mia città, Libertà, che ha un parco lettori stimato nell'ordine di un centinaio di migliaia di persone, e non è poco. E' tutt'altro che poco.
Quel che voglio dire, in definitiva, è che gli approcci possibili sono molti, anzi moltissimi, e non bisogna mai dare qualcosa per scontato. L'importante è vacillare poco, impegnarsi molto. Cercando però, appena possibile, di divertirsi almeno uno zinzino, non solo di essere il bravo soldato che obbedisce agli ordini senza discutere. Forse da ragazzo non lo avevo capito, forse mi è stato necessario superare i quarant'anni per rendermi conto di quale sia e sia sempre stato, nella variegata molteplicità delle attività editoriali che ho svolto, il mio obiettivo principale: comunicare, raccontare e raccontarmi, stabilire ponti con altri abitanti del pianeta. Potrà parere una scoperta del piffero per uno che fa il mio mestiere, e probabilmente lo è, però ne ho preso coscienza solo in tempi relativamente recenti; e da nessuna parte sta scritto che sia obbligatorio sapere sempre con esattezza perché si fanno cose. Quel che conta è farle mettendoci l'impegno necessario, e si può tranquillamente attendere un'intera vita per afferrare le nostre intime ragioni. Non sarà un pizzico d'ignoranza a ucciderci.
Così, oggi sono anche giornalista (non ufficiale, non iscritto all'albo), e ne provo molta gioia e piacere. Comunico con un sacco di gente che non conosco, esattamente come comunico con tante persone quando organizzo una delle mega-cene piacentine. La differenza sta tutta lì, nel fatto di conoscersi di persona o no, ma è un dettaglio secondario che nulla toglie alla soddisfazione di esprimermi. Evviva.
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