La prima vocazione che ho avvertito ba bambino è stata la voglia di fare l'edicolante. Prego notare che nel paesello dove vivevo, la Morfasso della quale ho parlato più di una volta, un'edicola non esisteva; però mio padre portava a casa Urania da Piacenza, io ero abbonato al Corriere dei Piccoli, vedevo circolare quotidiani e settimanali (da dove saltassero fuori, chi lo sa; probabilmente nascevano sotto i cavoli, o forse li lasciava la cicogna), insomma sapevo che esisteva una produzione da edicola. I libri no, erano un'altra faccenda, una questione seria, da libreria, e chissà perché fare il libraio non è mai rientrato nei miei sogni. Mah. Non ho intenzione di tornare in psicanalisi per avere risposta all'interrogativo. Mi costerebbe troppo, e la domanda non turba la mia coscienza.
Arrivato a Bobbio, sempre nel piacentino, ho trovato l'edicola in carne e ossa che negli anni delle medie ha alimentato la mia fantasia; e per un po' il desiderio è rimasto: diavolo, fare l'edicolante, guadagnare soldi e poter leggere gratis tutto quello che esce! La situazione ideale. In teoria. In pratica, se arriva un cliente fetente e compera il nuovo fascicolo di Nembo Kid prima che tu lo abbia letto, sei fregato; e poi l'edicolante si deve alzare molto presto ogni mattina per ricevere i pacchi dei quotidiani, e la mia propensione al sonno lungo in stile caffè all'americana era già molto spiccata, e per leggere tutto quello che vuoi basta guadagnare i soldini necessari per comperare, giusto? Sicché, tra medie e liceo, gradualmente, la mia prospettiva si è spostata. Da rivenditore a produttore. Ho deciso che avrei lavorato nell'editoria e avrei riempito io stesso le edicole di cose da vendere. Era proprio un bel sogno.
Cosa volevo combinare nell'editoria? Tutto, o quasi. L'unica idea folle che non mi sia mai passata per la testa è quella di fare l'editore, per un oscuro presentimento che mi avvertiva di non essere dotato delle capacità manageriali adatte (infatti non le ho, non le ho mai avute), e per la concreta consapevolezza di non possedere le somme necessarie per avviare quel tipo di attività. Non mi sono sbagliato. Quando ho cominciato a conoscere editori veri, come Mario Vitali della Tribuna, e poi Giovanni Armenia, e Gianfranco Viviani della Nord, eccetera, ho avuto conferma delle mie intuizioni. Sancite da una battuta che mi raccontò un giorno Viviani, battuta che dice: "Il modo più rischioso per perdere soldi è buttarli nel gioco, il più divertente è spenderli con le donne, il più sicuro è fare l'editore." Gianfranco, che uomo!
Di certo volevo occuparmi di fantascienza, il che mi offriva svariate possibilità: scrittore, traduttore, curatore editoriale. Tutte cose che ho fatto e continuo a fare, e bene o male mi danno da campare. I soldi sono meno di quel che immaginavo, però sono uno che ha esigenze abbastanza ridotte, e le soddisfazioni non sono mancate. Di cosucce ne ho combinate, sono entrato nella storia dell'Italian science fiction. Bum! E il giornalista? Volevo fare anche il giornalista?
Per un po' sì, ho coltivato quel sogno. Mi piaceva il termine, l'immagine. Avevo presente il vecchio carissimo Teddy Sberla degli ingenui albi a fumetti di una volta, il reporter col tesserino STAMPA infilato nella fascia del cappello. Una qualifica professionale esotica ed esoterica, da uomo importante, creatore di notizie, informatore del mondo. Mica l'ultimo dei pirla. Solo che all'epoca (parliamo dei primi Settanta, quando frequentavo l'università) non conoscevo gente che potesse farmi entrare in una redazione per l'apprendistato, ed ero iscritto a Lettere e dovevo spicciarmi a laurearmi se volevo costruirmi una vita mia, e le scuole di giornalismo accreditate erano tutte lontane da Piacenza e la mia famiglia non era in grado di affrontare la spesa... Lo strazio è durato poco. Quando ho iniziato a frequentare giornalisti, in primis Remo Guerrini, mio complice di imprese fantascientifiche e inviato prima di Panorama poi di Epoca, poi tanti altri, mi sono reso conto che per fare il giornalista nel senso che intendevo io bisogna stare sempre in giro, muoversi, prendere aerei e guidare automobili, conoscere gente che magari ti sta sulle palle però la devi intervistare, eccetera. Ah no, amici miei. Se mai è esistito un tipo stanziale, uno che tutti i santi giorni vuole alzarsi avendo attorno le persone care e le cose care, quello sono io: il saluto di Lucia che esce per andare in ufficio, la colazione col caffè e i dolcetti del Mulino Bianco, il computer con la posta elettronica. Gesù, posso farne a meno, e anche volentieri, per un periodo circoscritto di ferie, ma se dovessi viaggiare su e giù per il mondo o anche solo per l'Italia per guadagnarmi il pane quotidiano, morirei.
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