L'età del carbone e l'età del petrolio
Si era intorno al 1824 quando Jean-Baptiste Fourier, scienziato francese assai famoso per le sue scoperte nel campo della fisica e soprattutto della matematica, parlò per primo di "effetto serra" relativamente al fatto che, in ultima analisi, l'atmosfera si comporta come il vetro di una serra, ovvero lascia passare i raggi del sole, ma impedisce l'irradiamento infrarosso verso l'esterno. In una parola l'atmosfera è responsabile di un certo riscaldamento del pianeta che, a ben vedere, nel caso nostro, è tutt'altro che disdicevole, visto che, in assenza di atmosfera, la temperatura media globale della Terra sarebbe circa 30 °C più bassa.
L'effetto serra è perciò un fenomeno di per sé del tutto naturale e sussite sempre sui corpi celesti che presentano un'atmosfera. Il problema è dato semmai dalla composizione dell'atmosfera che può aumentarne o diminuirne gli effetti. A questo ci arrivò per primo il chimico svedese Svante Arrhenius, il quale nel 1895, circa centocinquant'anni dopo l'inizio della Rivoluzione Industriale e a trentaquattro dal primo utilizzo del petrolio, compì migliaia di calcoli a mano per giungere alla conclusione che l'incremento della quantità di biossido di carbonio nell'atmosfera avrebbe condotto a un riscaldamento globale del pianeta. La conferma la diede nel 1955 un certo Charles Keeling, il quale confermò che in effetti i livelli di CO2 nell'atmosfera stavano salendo. Come conseguenza di ciò, presso la località di Mauna Loa nelle Isole Hawaii, nel 1958 cominciarono le prime misure sistematiche della CO2 presente nell'atmosfera. Ma se l'anidride carbonica sta salendo non è tutta colpa del petrolio, bensì di tutti i cosiddetti combustibili fossili che, durante la loro combustione, rilasciano carbonio nell'atmosfera formando biossido. Tra questi non va dimenticato il carbone che stiamo utilizzando in maniera massiccia già dal XIII secolo, quando l'Europa si ritrovò costretta a utilizzarlo, trovandosi a corto di legname. E ancora oggi se ne sottovaluta l'importanza rispetto al petrolio. L'attuale tasso di consumo di carbone si assesta infatti intorno ai 5 miliardi di tonnellate annue bruciate in tutto il mondo, che corrispondono a 2,2 miliardi di tonnellate di carbonio rilasciate nell'atmosfera, pari al 36% di tutte le emissioni di carbonio dovute ai combustibili fossili, contro i 28 miliardi di barili di petrolio annui che corrispondono al 43% di emissioni di CO2. Il restante 21% di carbonio immesso in atmosfera è invece dovuto alle emissioni causate dalla combustione dei gas naturali. Benché secondo in graduatoria, il carbone è tuttavia da considerarsi molto più pericoloso del petrolio, se non altro perché i giacimenti di carbone non sono a rischio di esaurimento almeno per i prossimi due secoli, anche con l'attuale tasso di consumo. Per quanto riguarda il petrolio, invece, se non ci saranno inversioni di tendenza rispetto ai consumi o all'attuale tasso di scoperta di nuovi pozzi, le stime degli studiosi prevedono che verso il 2020 la domanda di greggio da parte del mercato mondiale supererà l'offerta e la crisi petrolifera sarà una realtà. Insomma, carbone a parte, la Terra potrebbe aver già posto un freno "naturale" all'incremento incontrollato della quantità di biossido di carbonio nell'atmosfera dato dalla limitata quantità di petrolio utilizzabile, tuttavia non si deve nemmeno dimenticare che, ancorché il principale, il biossido di carbonio è solo uno dei gas responsabili dell'incremento dell'effetto serra.
(Schema di massima dell'effetto serra - Fonte: Legambiente)
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