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Le terre perdute
Ma vediamo alcuni dei motivi con cui la desertificazione si è accompagnata nel passato. Un'associazione molto stretta è spesso con la catastrofe nucleare, dove il pianeta e più specificamente i punti di impatto delle bombe, si presentano come desertici. A volte veri e propri deserti di cristallo, dove per la forza delle esplosioni e delle radiazioni non cresce più nulla. Per tutti potremmo citare lo splendido romanzo A Canticle for Leibowitz (1955, tit. it. Un cantico per Leibowitz, Mondadori, Milano, 1988), di Walter Miller:
La iota faceva pensare a una minuscola apparizione evocata dai demoni del calore che torturavano la terra a mezzogiorno, quando ogni creatura capace di muoversi che si trovava nel deserto - ad eccezione delle poiane e di pochi eremiti come Francis - giaceva immobile nel suo covo o si nascondeva dietro una roccia per ripararsi dalla ferocia del sole. Soltanto una cosa mostruosa, una cosa preternaturale, o una cosa dallo spirito corrotto poteva scendere deliberatamente lungo quella pista, a mezzogiorno, in quel modo.
Il deserto, con la sua quasi totale assenza di vita indica la fine totale, definitiva. Nel deserto non cresce neanche della stentata erba, al massimo troviamo qualche serpe. Spesso l'area di impatto viene chiamata "desolazione" o "terre perdute". Il deserto quindi non è più soltanto uno scenario, ma assurge al ruolo di simbolo, il simbolo della desolazione in cui vive (o potrebbe vivere) la civiltà. Ma anche di cosa l'uomo riesce a fare alla civiltà quando lascia prevalere il proprio istinto (auto)distruttivo.
Non c'era ombra fra i mucchi di macerie, là dove un tempo era sorto un gruppo di edifici antichissimi, ma qualcuna delle pietre più grosse poteva offrire un po' di frescura ad alcune parti dell'anatomia dei viaggiatori che conoscevano la strada del deserto come aveva dimostrato di conoscerla il pellegrino. Cercò per brevi istanti una pietra di proporzioni adatte. Frate Francis osservò, con approvazione, che il pellegrino non afferrava la pietra per rovesciarla avventatamente: invece si fermò a qualche passo e, usando il bastone come una leva e una pietra più piccola come fulcro, sollevò quella più grande sino a che l'inevitabile creatura sibilante che era nascosta lì sotto si allontanò strisciando. Il viandante uccise spassionatamente la serpe con il bastone e gettò da parte la carcassa che ancora rabbrividiva. Dopo aver eliminato l'occupante della fresca fessura che stava sotto la pietra, il pellegrino rovesciò la pietra stessa. Poi, sollevando la parte posteriore della tela che gli fasciava i lombi, posò le natiche avvizzite sulla parte inferiore, relativamente fresca, della pietra, si tolse scalciando i sandali e premette le piante dei piedi contro ciò che era stato il fondo sabbioso della fresca depressione. Così ristorato, agitò le dita, sorrise con la bocca sdentata e cominciò a mormorare una melodia.
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