- Tuo marito ha subìto un trapianto cuore-polmoni. Questo lo sapevi, vero?
Mi tratta ancora come una stupida. Lo squadro acidamente. - E' ovvio.
Lui inarca un sopracciglio. - E sai anche da dove sono arrivati gli organi?
- Cosa?
- Gli organi per il trapianto. - ripete - Saranno pur venuti da qualche parte, no?
Adesso il suo tono è di accusa. Non capisco perché.
- Immagino che la clinica abbia una riserva. - ribatto seccamente.
- Oh sì. - sento mormorare la donna - Una riserva.
Il sorriso di Antonio adesso è quasi un ghigno. - Straordinario. E come si riempie questa "riserva", secondo te?
Scrollo le spalle. - Non sono un medico.
- Avrai pure un'idea, no?
Abbasso la voce. Ho sentito dei passi, e la prospettiva di venire scoperta nel ruolo di intrusa non mi va affatto a genio.
- Organi di persone morte in incidenti - sbotto, giusto per dire qualcosa - Ah... ho letto che riescono a far crescere organi umani nel corpo di animali...
- Cazzate. - taglia corto lui.
La situazione continua a irritarmi. Che ci faccio in questo sottoscala buio in compagnia di due squilibrati amanti dei rebus, invece di essere a casa con mio figlio o al capezzale di mio marito?
- Te lo ripeto, Antonio. - sibilo - Se hai qualcosa da dirmi fallo, altrimenti lasciami in pace e sparisci dalla mia vita.
- Voglio solo che tu veda una cosa. - replica in tono rassicurante - Sai come dicevo: un buon esempio eccetera eccetera... Poi ti riporterò a casa.
- E' qui. - dice la donna, fermandosi a un angolo del corridoio.
- La via è libera, Elena?
Lei controlla l'orologio. Poi tira su col naso. - Dovrebbe: siamo a fine turno. Aspettate qui.
Sparisce un istante, poi torna e ci fa cenno. - Venite.
Quando varco la soglia, d'istinto, ho un brivido. Di freddo, ma anche d'inquietudine. L'ambiente in cui siamo entrati è ampio, gelido e spoglio. Le luci sono quasi tutte spente: i rari faretti accesi lanciano intorno un timido chiarore sferico che viene subito inghiottito dal buio. Una serie di apparecchiature mediche sono disposte lungo la parete. Su questa, in due file sovrapposte, scorgo una lunga teoria di aperture circolari che mi ricordano gli oblò della Queen of Jamaica, a bordo della quale io e Livio abbiamo trascorso la luna di miele. Ma capisco subito che il paragone è drammaticamente fuori luogo.
- E'... un obitorio? - chiedo.
Antonio scuote la testa. - E' la "riserva" di cui parlavi.
- Cella sessantacinque, secondo il database. - sussurra la donna.
- Eccola. - Antonio non mi lascia il tempo di chiedere spiegazioni. Quasi mi trascina verso una delle aperture. Il vetro è appannato: vedo goccioline di condensa sulla superficie, lucida come rugiada sui finestrini di un'auto.
- Puoi far luce, Elena?
- Se il badge funziona ancora... Ecco.
Oltre il vetro, un tubo al neon si accende, illuminando l'interno di quell'inquietante cubicolo in un chiarore azzurrino. C'è un corpo nudo, lì dentro. Tra la curiosità e il disgusto, mi impongo di guardare.
Sussulto per lo stupore quando mi accorgo che si muove. Non è un cadavere: il torace si alza e si abbassa regolarmente, le dita delle mani si chiudono e poi si distendono come in un riflesso istintivo.
- Cosa... - sto per chiedere, ma mi blocco, senza fiato. Ho visto il volto dell'uomo nel cubicolo.
E' mio marito.
4
Antonio mi fa sedere su una lettiga, aspetta pazientemente che io riprenda il controllo.
- Livio... Livio era nella sua stanza... - balbetto - L'ho lasciato lì. Io...
- Guarda meglio. - mi esorta lui, in tono pacato ma risoluto.
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