- Non... non capisco.
Zerbi si fa avanti con aria decisa. - E' una formalità, signora Benetti. - taglia corto - Firmi questo modulo.
Mi mette in mano una penna e un foglio pieno di timbri. Vorrei leggerlo, ma non posso mettere a fuoco lo sguardo. Riesco a pensare solo alla bomba che esplode e alle schegge che dilaniano il petto di Livio. Metto confusamente il mio nome in calce e mi accascio su una sedia. Sta veramente succedendo a me?
Il medico controlla la firma e si allontana soddisfatto. Sento Zerbi sospirare di sollievo e accendere il telefonino. Un attimo dopo, sta già parlando con chissà quale funzionario di partito. Le guardie del corpo di mio marito sembrano scolpiti nella pietra.
Guardo la lampada sull'ingresso della operatoria. Si accende. E' rossa. Sembra dipinta di sangue rappreso.
Non so quanto resto ad aspettare. Ricordo di aver poggiato la fronte al vetro della finestra e aver visto il sole tramontare incendiando i tetti di Roma. Lo spettacolo che si gode da quassù è bello in un modo che mi sembra ingiusto. Il Tevere è una spada di luce che taglia il ventre della città. La cupola della sinagoga brilla in un bagliore quasi metafisico. Formazioni compatte di storni disegnano figure di Rorshach in cielo. San Pietro è così vicina che sembra di poterla toccare.
Fuori dal cancello, poco a poco, si coagula una piccola folla. Automobili parcheggiate alla rinfusa ostruiscono la strada rischiando una trombosi del traffico. Scorgo telecamere e microfoni. Suono di clacson.
- Venga via dalla finestra! - esclama Zerbi, sgarbato - Possono vederla!
Lo ignoro. I giornalisti non mi interessano. Ma c'è un uomo, fermo oltre le sbarre che proteggono il giardino, che mi fissa attraverso il vetro. Era lì anche quando sono arrivata? Non riesco a ricordare, ero troppo sconvolta. Ha un aspetto in qualche modo familiare. Mi incuriosisce. E' alto, ha gambe lunghe come trampoli, porta una camicia a maniche corte e un paio di jeans stinti; ha un viso duro, occhialini tondi alla John Lennon. Un'aria da intellettuale.
C'è una donna accanto a lui. Non si mescolano ai giornalisti, che li ignorano. Solo un reporter scatta una foto distratta al cartello che i due reggono. Il rettangolo di tela recita "Genesi 4-10". Che significa?
La luce si spegne. Mi affretto alla porta della sala operatoria, ma devo attendere ancora un tempo interminabile prima che il chirurgo esca. Lei sospira, si toglie la bustina dai capelli. Li scuote. Sono rossi e magnifici.
- E' andato tutto bene. - dice, facendomi rivivere.
2
Quando rientro a casa, trovo Marco addormentato nella culla e Maria assopita sul divano. La nostra tata tuttofare ha un'aria stremata. Non mi ha neppure sentito arrivare. Meglio così. La lascio riposare.
Sfioro con le labbra la fronte di mio figlio: si agita sotto il lenzuolo ma non si sveglia. Non insisto, anche se vorrei stringerlo a me: sono stata fuori tutta la notte, un'eternità.
Faccio la doccia, mangio qualcosa. Poi torno in soggiorno. La casella di posta è traboccante di messaggi in arrivo. Apro la schermata e scorro la lista.
Auguri e solidarietà. Vi siamo vicini. Qualunque cosa abbiate bisogno. Eccetera eccetera. Colleghi di Livio, industriali, consulenti, politici. Vip.
Mi sorprendo di non trovare richieste di interviste. Poi capisco. Zerbi ha fatto valere i suoi contatti con la Stampa. Per proteggere la mia privacy? Non credo.
Infatti mi basta aprire una finestra sul canale delle News per vederlo. E' a fianco della senatrice Docci, la presidente del partito per cui Livio è in procinto di candidarsi. Affronta i microfoni con aria da squalo. Parla, parla, parla ancora. La logica della violenza non prevarrà, chi parla con le bombe è sconfitto in partenza, quando il gioco si fa duro eccetera. Una serie di slogan da campagna elettorale. Che poi è esattamente il lavoro per cui Zerbi, a seguito di mio marito, sta studiando. E si vede.
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