Nel dopoguerra il genere mette da parte temporaneamente le sue ossessioni tecnologiche e si dedica ad altre entità che si muovono ai confini dell'umano, vale a dire alieni e mutanti.
Ne La cosa da un altro mondo (The Thing From Another World, regia di Christian Nyby, prodotto da Howard Hawks, USA 1951) viene rinvenuta tra i ghiacci polari una creatura extraterrestre congelata accanto a un disco volante. Dopo una disputa tra scienziati e militari di una vicina base se essa vada scongelata e studiata oppure lasciata dov'è, nel dubbio che possa rivelarsi ostile, la creatura viene riportata in vita per errore e scatena immediatamente una furia omicida sul personale della base. La cosa è il prototipo dell'alieno predatore, il nemico contro cui non sono ammesse mediazioni, precursore del più celebre Alien. E infatti nel film di Christian Nyby non mancano i paralleli con il ciclo avviato nel 1979 da Ridley Scott, a cominciare dalla contrapposizione tra una scienza disposta a sacrificare vite umane pur di soddisfare la propria sete di conoscenza, e la soluzione militare vista come unica strada percorribile. "Decolliamo e nuclearizziamo: è la sola sicurezza", dice il personaggio di Michael Biehn in Aliens (Id., regia di James Cameron, USA 1986), enfatizzando il legame tra questa frangia della fantascienza e il cinema di guerra, e al tempo stesso la capacità del primo di spingersi molto oltre nella costruzione del nemico. Nonostante tentativi come quelli di Steven Spielberg in Salvate il soldato Ryan (Saving Private Ryan, USA 1998), in cui l'eroe viene ucciso da un soldato nazista cui aveva in precedenza risparmiato la vita, il cinema di guerra post-Berretti verdi incontra sempre maggiori difficoltà nel dipingere il nemico di turno come un essere totalmente spregevole, dunque da annientare. E' una semplificazione che il pubblico fatica sempre di più ad accettare. La cosa venuta dallo spazio, invece, specie se ostile e non antropomorfa, meglio ancora se simile addirittura a un sovradimensionato insetto - come in Alien, o in Fanteria nello spazio (Starship Troopers, regia di Paul Verhoeven, USA 1997) - proprio perché così facile da collocare al di fuori dalla famiglia umana, si presta perfettamente al genere della guerra totale, del tiro a bersaglio indiscriminato per mezzo di armi il meno possibile convenzionali. Al grido di "Decolliamo e nuclearizziamo", appunto.
E' stato detto e scritto più volte che gli alieni di quest'epoca, specie nella fantascienza cinematografica, sarebbero la proiezione intinta nell'immaginario degli incubi di quello che gli americani percepivano ai tempi della guerra fredda come il nemico numero uno, ovvero i comunisti. E probabilmente è vero, almeno in parte e nei film dall'impianto più grossolano. Ma sarebbe riduttivo leggere secondo questa sola ottica film come L'invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, regia di Don Siegel, USA 1956), in cui la forza d'invasione aliena assume, rispetto alla cosa di Nyby, una forma ben più subdola, strisciante e difficile da estirpare. Si tratta di "ladri di corpi", come spiega il titolo originale, creature in grado di replicare le sembianze degli esseri umani e sostituirsi a loro mentre dormono. Nonostante un lieto fine posticcio imposto a Siegel dalla produzione, L'invasione è un film profondamente pessimista e molto complesso; oltre alle letture politiche, plausibili sia in ottica anti-comunista che di critica del maccartismo, vi si può ritrovare il tema della differenza tra un'esistenza libera, propria di individui dotati - per riprendere un altro passo della Dichiarazione - 'di ragione e di coscienza', e un'altra imperniata sul conformismo, l'indifferenza verso gli altri, l'isolamento. Solo che in questo caso l'elemento disumanizzante non è più, come in Metropolis, la schiavitù del lavoro, ma l'esistenza quotidiana dell'uomo medio in un'epoca in cui il benessere (almeno negli Stati Uniti) era considerato alla portata di tutti. E' proprio il senso dell'incapacità dell'individuo, nonostante l'apparente mancanza di impedimenti, di adeguarsi all'ideale di umanità cui si guardava con tanta speranza negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra mondiale, a fare de L'invasione un film così difficile e scomodo.
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