La schiavitù e la riparazione del mondo
L'Olocausto, nella SF americana, è una presenza importante. Pensiamo a Campo Archimede di Thomas Disch (Camp Concentration, 1968), di nuovo una storia sull'importanza, impossibile da reprimere completamente, anche nella peggiore delle situazioni, del raccontare storie. E pensiamo all'America nazista di La svastica sul sole (The Man in the High Castle, 1961) di Dick, in cui il gerarca che salva l'operaio e artista ebreo è soprattutto spinto da una capacità di riconoscere la dignità dell'altro che lo porta a vincere la banalità (ideologica, burocratica) del male, anche a rischio della vita.
Allora è giusto concludere con la fantascienza degli autori afroamericani. In Samuel R. Delany, anche nel ciclo fantasy di Nevèrÿon, il tema della schiavitù è, sin dal primo racconto, centrale, mentre già Einstein perduto (The Einstein Intersection, 1967) era stato anche una parabola sul diritto alla diversità. Ma va menzionato soprattutto Stars in My Pockets Like Grains of Sand (1984), la storia dello schiavo prima rapito e venduto, che cerca di usare la sua situazione per appropriarsi del sapere dei conquistatori per i suoi fini di libertà; tornato alla vita dopo un disastro planetario, si ritrova in un universo rutilante, barocco, popolato da infinite civiltà, sicuro della propria natura cosmopolita. Ma il passato dell'ex schiavo (in un romanzo molto più cupo di quanto non possa far credere l'atmosfera e la scrittura brillante) continua a renderne impossibile l'integrazione: alla fine farà perdere le sue tracce, condannato comunque all'invisibilità dalla impossibilità da parte del mondo di comprendere la sua storia.
Alle radici della schiavitù va la protagonista di Legami di sangue (Kindred, 1979) di Octavia Butler, inviata da un incidente temporale nel Sud di metà Ottocento, in cui la sua vita si lega a quella del padrone di una sua antenata, a cui deve ripetutamente salvare la vita. E al termine dell'avventura, anche lei scoprirà traumaticamente l'incancellabilità di quei segni di violenza: in quel mondo anche lei che si era illusa di poterlo evitare, letteralmente lascerà una parte di sé.
Nel penultimo romanzo di Butler, La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1994), la visione distopica di un'America balcanizzata in gated communities segregate, si concluderà con una nota di speranza: la comunità del Seme della Terra, creata dalla giovane protagonista coi suoi amici, avrà come cerimonia di fondazione la sepoltura dei corpi di persone appartenenti a un altro gruppo. La lezione del passato è l'impossibilità di venir meno, in nessun caso, ai principi a cui ci si richiama: "Vorrei pescarci in quel fiume, anche mentre seguo la corrente", dice la ragazza.
In altre parole, stavolta è il ragazzino di Omelas (una sua simile, una sua sorella) che prende la parola, e prova a dar vita alla sua città.
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