3. Fantascienza "senza etichette"
Come è noto anche scrittori di altri generi narrativi, o di letteratura "colta", vollero talora sperimentarsi in storie di fantascienza, benché raramente con risultati convincenti (la sf è una narrativa specializzata; non basta saper scrivere per essere buoni fanta-scrittori). Tra queste opere, una delle più significative è il romanzo Il cavallo venduto di Giorgio Scerbanenco (Rizzoli 1963; ultima edizione, Frassinelli 1997).
Vi è descritta un'Italia post-atomica, devastata, regredita a uno stato quasi primitivo, narrata direttamente da personaggi quotidiani (la scrittura ricalca una modalità orale del raccontare, benché sottilmente filtrata dall'abilità stilistica dell'autore). Questa umanità, carica di fucili e pistole e alla costante ricerca di sostentamento e munizioni, utilizza mezzi di fortuna - carri trainati da cavalli, barconi, e così via - per cercare di raggiungere la mitica Milano. Tra costoro ci sono i protagonisti: Paolo, Giovanna, Ida, Annabella, Marino, Matilde: gente sbandata, alla ricerca ossessiva di un riferimento stabile. Ma la Milano verso cui essi tendono non è più la metropoli che oggi conosciamo, e non soltanto perché fu essa stessa rasa al suolo. All'ingresso è d'obbligo cedere i propri beni e barattare la libertà; chi vi accede non potrà tornare indietro, tale è il volere dei governanti della città, spalleggiati da milizie e leggi apposite.
Giunti alle porte di Milano, i nostri si accampano tra una immensa folla, anch'essa in procinto di penetrare nella città. Tra la gente spicca un bizzarro individuo che, in piedi su una panca, improvvisa lunghi sermoni: è "il Matto". Il suo sproloquiare è un invito ad andar via, perché...
"...infine è solo nella loro mente malata che esistono milioni e milioni di uomini da tenere insieme, da far lavorare tutti insieme, allo stesso lavoro, nello stesso tempo, come se fossero un uomo solo. Com'è possibile che milioni di uomini siano un uomo solo?Così non esistono neppure, se non nella loro mente, tutte le leggi e le regole e i comandamenti che sono stati creati per questi milioni ridotti a uno solo, cioè a una cosa che non esiste. (...) Lasciateli senza fucili, e alla fine gli uomini ritroveranno le parole come sono, e non rimarrà nulla delle loro leggi, e nessuno lavorerà come e quando loro dicono, ma come e quando serve a ciascuno, e così non potranno costruire quelle loro macchine, quelle loro case, che esistono soltanto finché hanno un fucile e sono sempre state costruite col fucile puntato alle spalle.
Voltate il vostro carro e tornate a vivere come prima, anche se voi non capite, perché sono troppo lontani i tempi in cui i vostri padri, e i padri dei vostri padri, scontavano quello che tra poco sconterete voi. (...) Essi mentono vergognosamente non solo agli altri ma a se stessi, e quando anche voi sarete lì dentro imparerete a mentire a voi stessi, e ai figli dei vostri figli."
Come è facile intuire, Milano (il luogo cui si accede solo rinunciando ai propri diritti basilari di esseri umani) diviene metafora di qualcosa di più complesso: della società attuale, dell'organizzazione delle nostre vite, forse della nostra stessa natura. Se fuori Milano è il caos, entrarvi significa acconsentire alla riedificazione di quel medesimo modo di vita che generò la catastrofe: ma allora, qual è la via d'uscita? Alcuni dei nostri personaggi lasceranno l'accampamento e fuggiranno verso il Ticino. Ma non c'è molto altro spazio immediato, nell'universo cupo di Scerbanenco.
Credo sia d'obbligo a questo punto citare L'uomo è forte, il romanzo che Corrado Alvaro pubblicò nel 1938 (Bompiani; ultima riedizione nel 1994, Bompiani): una specie di nostrano 1984 ante litteram, nel senso che i due protagonisti agiscono nella realtà oppressiva e degradata d'uno stato dittatoriale. La censura fascista giudicò il romanzo "sospetto" e ne permise la pubblicazione solo previa soppressione d'una ventina di righe (ma la richiesta iniziale all'autore era di eliminarne venti pagine), e dopo aver imposto al testo una premessa in cui si chiariva che l'azione si svolgeva nell'Urss. In realtà i personaggi si chiamano Dale e Barbara e lo scenario non consente precise identificazioni geografiche, ma l'allusione implicita a fascismo e nazismo si direbbe lapalissiana. La censura germanica ne vietò l'uscita in tedesco. Opera vigorosa, ricca anch'essa di un valore simbolico che alludeva a ogni genere di alienazione sociale e dei diritti elementari dell'individuo, certamente meriterebbe una maggiore diffusione. Di rilievo la scrittura: ma si conosce il valore letterario di Alvaro, che interpretò con grande partecipazione la "condizione umana" della sua epoca. Di lui, purtroppo, solitamente la critica cita quasi escusivamente Gente d'Aspromonte e L'età breve.
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