2. Gli inizi
Un primo esempio, anche in ordine cronologico di pubblicazione, può essere il racconto di Giovanna Cecchini Mio figlio non è un mostro (1959, "Oltre il Cielo"; ultima edizione in: AA.VV., "Cronache dal futuro", Milella 1985). Si immaginava un gruppo di coloni terrestri trapiantato su Io, inospitale satellite del pianeta Giove. Dopo alcuni mesi, a una coppia di coloni nasce un bimbo, il primo umano che vedrà la luce su un altro mondo. Ma qualcosa ha funzionato male: Donald, il bambino, si rivela portatore di una mutazione mostruosa, per cui ha un minuscolo becco, la lingua cornea, il corpo ricoperto da migliaia di squame. Dopo il primo momento di sconcerto e di orrore i terrestri si rendono però conto che Donald è una creatura perfettamente adatta all'ambiente di Io. Superato il trauma, la madre annota:
Donald non dovrà starsene rinchiuso in eterno nella Base. Potrà correre fuori a ruzzolare nel folto dei prati spinosi, potrà tuffarsi nel gorgo delle acque ustionanti senza alcun timore. Sarà un bimbo felice. E un bimbo felice non è un mostro.
Va da sé che il racconto contiene un errore grossolano: l'adattamento di una specie (quella umana) al mutare dell'ambiente esterno avviene gradualmente, in millenni o milioni di anni, non nell'arco di una generazione. Nella nostra sf dei primordi ricorrevano frequenti casi del genere, talora vere assurdità scientifiche. Tuttavia è anche il caso di chiedersi: qual era l'intenzione primaria dell'autrice? Far intendere, tra le righe, che la "mostruosità" è una questione relativa. Su Io è proprio Donald l'unica creatura "normale"; gli inadatti (i "mostri") sono i terrestri. In sostanza, la science fiction della Cecchini era un modo nuovo per raccontare, in una forma allegorica abbastanza trasparente, la tematica della "diversità", sottenderne esigenze condivise.
Una storia molto simile anche nel titolo è Mostri, di Giulio Raiola (1962, in "Interplanet" n.1; ultima riedizione ancora in: AA.VV., "Cronache dal futuro", Milella 1985). La vicenda si svolge nel cuore degli Usa. Un giornalista è testimone di una gigantesca deflagrazione in un campo militare dove pare avvengano sperimentazioni segrete. L'intera zona verrà recintata per sicurezza, ma anche per un altro motivo: nel luogo incominciano a nascere umani orrendamente mutati (si veda l'osservazione concernente il racconto della Cecchini, benché Raiola accenni ad una generica spiegazione logica); creature peraltro pacifiche, e che sono doppiamente vittime: temute per la loro diversità, si vieta loro ogni contatto con gli umani "normali".
"Ne vedemmo uno proprio in faccia" disse Charles con la sua voce baritonale "e vi assicuro che non fu una cosa allegra. S'era spezzato una gamba cadendo in un fossato... se gamba si può dire. Ti ricordi, Adam?" Adam voltò lentamente la testa verso di noi, un tremito nervoso lo faceva sussultare. Disse: "Io lo sentii per primo, e non dimenticherò mai. Nessuno si è mai lamentato così, mi portava via il cuore. La notte c'era stato un temporale e lui era lì, aggrappato con le braccia a non so che radici; un uomo di quarant'anni, biondo. La camicia gli s'era rotta e quel che ne restava lo copriva assai poco, fino al bacino. Sotto" e qui Adam ebbe una smorfia di disgusto "sotto era come un ragno, o come una grossa cavalletta.... Aveva due zampe verdi, più lunghe e pelose delle altre quattro, che erano più grosse, circa come il mio braccio. Doveva essere cascato nel fossato di notte, durante il temporale, una delle zampe lunghe era rotta. Era anche ferito non so dove, forse all'addome, ma la parte inferiore era immersa nell'acqua e lui agitava quelle zampe e si lamentava, con la faccia pallida. Aveva paura. Mi gridò di risparmiarlo, di avvertire i suoi che venissero a prenderlo. L'acqua del fossato era diventata verde e gialla, e io scappai come un pazzo, non ci vedevo più dall'orrore, dalla paura..."
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