5. Il "post-human"

Nicoletta Vallorani
Nicoletta Vallorani
Per decenni, i "personaggi" della fantascienza che si sono prestati a raffigurare la diversità - in quanto condizione di maggiore vulnerabilità - sono stati alieni, robot, mutanti (di mutazioni spontanee o derivate da radiazioni, sperimentazioni), androidi, animali antropomorfizzati. Ovviamente, la diversità non è mai stata l'unica simbologia possibile; il risultato dipendeva dagli obiettivi dell'autore. Un alieno poteva (può) anche rappresentare l'inconoscibilità dell'universo (l'Oceano di Solaris); robot e intelligenze sintetiche possono raccontarci la creatura artificiale che si ribella al creatore, o alludere (come in molte storie di Asimov) a una razionalità ideale che verosimilmente l'uomo non possiederà mai; il mutante può incarnare la minaccia peggiore e più umiliante, se si pone come specie nuova che soppianterà l'Homo Sapiens. L'avvento del cyberpunk, con le sue nuove tematiche, ha infoltito la schiera aggiungendo cyborg, sistemi bio-intelligenti, mutanti genetici, semi-robot e altro. Ma soprattutto direi che queste invenzioni non sono più chiamate, come una volta, a impersonare diversità e "diritti". Il cyber ha fatto sue alcune tematiche concernenti le trasformazioni geo-politico-tecnologiche in scala planetaria che stiamo vivendo, con l'interminabile corollario di gioie e di sangue innocente: ed è qui che abitano ora creature violate d'ogni tipo, ma nel senso che contano soprattutto gli scenari, più che le "figure". Le quali ultime hanno perso quasi del tutto le vecchie valenze. Ciò risulterà anche consequenziale se si considera che, superando un'ontologia improntata alla purezza della specie umana, si sta affermando (non solo nella fantascienza) una nuova visione del concetto di umanità fondata sulla contaminazione con l'alterità non-umana (la d'Eramo l'aveva anticipata). E' quella sorta di profilo post-human che concepisce l'uomo un ibrido in continua trasformazione e ridefinizione; ibrido high tech che secondo Roberto Marchesini "muta radicalmente il concetto di hybris da atto che offende l'essere umano a momento centrale della stessa ontogenesi" (in Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, 2002 Bollati Boringhieri).

Un caso recente di "mutanti" si ha nel romanzo Eva di Nicoletta Vallorani (Einaudi, 2002). E' un fanta-noir claustrofobico e ossessivo, ambientato in una Milano a venire, dove alcune ferite (la guerra nell'ex Iugoslavia) continuano a sanguinare e far sanguinare. L'autrice raggiunge una scrittura molto densa e "femminile" che si può accettare o rifiutare visceralmente; sta di fatto che, a mio avviso, siamo all'opera lunga di fantascienza più interessante finora scritta dalla Vallorani. Altre sue storie toccano il tema dei "diritti", per esempio Choukra (1996 su "Carmilla" prima serie; anche su Intercom n. 13 www.intercom.publinet.it, unitamente ad altro materiale e a una stimolante intervista).

Una citazione merita A tempo indeterminato (2002) di Milena Debenedetti, storia breve giocata su situazioni di frustrazione e degrado ormai sempre più connesse con il nostro mondo lavorativo ( www.delos.fantascienza.com/delos/72).

Di recente uscita è anche l'antologia personale Nessuna giustificazione di Enrica Zunic' (2002, Solid Books). Attivista di Amnesty International, da alcuni anni la Zunic' sta assemblando nei suoi racconti i tasselli di un universo narrativo privato nel quale si specchiano e prendono vita orrori e redenzioni. Si tratta del suo primo libro, e tuttavia emerge anche qui una scrittura "al femminile" dai tratti già personali. Siamo a un caso di fantascienza italiana che centra perfettamente il nostro argomento (in realtà questa è una tautologia: come noto Enrica è nel premio Omelas, che sollecita racconti sul tema, e sulla cui scia nasce lo "speciale" cui appartiene il presente articolo...)

In chiusura, Valerio Evangelisti.