A partire dal Mengele del romanzo, Gowna, una deformazione "aliena" della parola slava govna, "merda": il quale proprio da questo poco simpatico elemento viene colpito, a un certo punto della storia. E poi i nomi greci, Krato, (Kratos era uno dei carcerieri di Prometeo), la già citata Thanat e molti altri, anche nei precedenti racconti del libro.
Le figure femminili sono tutte archetipi, enfatizzati, di altrettanti aspetti della femminilità. Fania, la cuoca è "colei che dispensa nutrimento", in tutti i sensi, non solo quello materiale, che si esaurisce in questo e assiste spesso impotente e sofferente agli eventi. Thanat è la donna che interiorizza e fa propri i valori maschili di potere e sopraffazione, di una durezza atavica, come certe implacabili capoclan della mafia italiana o cinese. Elsa è la donna capace di realizzarsi solo attraverso l'amore, e benché apparentemente forte e sicura, mancandole quell'appoggio, si distrugge.
La scelta di disegnare donne dai caratteri così marcati, fa da contrappunto, insieme con altri personaggi completamente negativi, bestiali (anzi, "umani" anch'essi, ci suggerisce Enrica, basta prendersela inutilmente con gli animali), con altri personaggi dubbiosi e tormentati, pavidi e incerti, con lo sfondo agghiacciante e anonimo della folla che reclama sofferenza, al gruppetto dei protagonisti, che sono in qualche misura raffigurati con caratteri androgini. Soprattutto è androgino Nithael, la figura centrale, non solo icona del dolore, ma emblema di profondi valori, sentimenti, coraggio, sensibilità, altruismo... Valori che non dovrebbero avere definizioni o attribuzioni, né sesso né razza, ci suggerisce implicitamente Enrica, ma dovrebbero essere patrimonio di tutti.
E questa figura, questa specie di Cristo laico, che porta su di sé tutto il peso dei mali del mondo, si staglia trionfante lungo tutto lo svolgimento della narrazione, tanto più nobile e grande, tanto più capace di toccare e coinvolgere gli animi che non siano completamente insensibili, chiusi alla vita e all'umanità, quanto più viene ferito, umiliato, distrutto. E così, con una "semplice" storia di fantascienza, si rielaborano, si trasformano, si attualizzano archetipi profondi del mito, della religione, filo rosso conduttore della stessa storia dell'uomo. E di nuovo, scusate se è poco.
Tutto questo per ridare una voce a chi spesso non l'ha. Per aiutare a liberarci una volta per tutte dal condizionamento, dal "culto del cattivo", come lo chiama Enrica, tanto di moda negli anni '90, che ci fa simpatizzare per i personaggi apparentemente forti, decisi, violenti, "attivi", nel bene e nel male. Spesso, nel male. Per i vincitori, comunque e a qualunque costo. Nelle guerre e nella vita, nel mito del successo, della ricchezza e dell'apparenza.
Per suggerirci, neanche tanto sommessamente, che esistono altri valori, a torto trascurati, disprezzati, considerati simbolo di debolezza e inferiorità, e che invece possono essere la vera forza, che meritano uguale dignità e rispetto e contribuiscono a migliorare l'essere umano e la sua condizione su questa terra.
E non la rassegnazione, la sottomissione, la passività, quelli sì, falsi valori, spesso purtroppo confusi con i sentimenti, tanto da far ripudiare tutto il blocco nella sua interezza, da ritenere possibile solo un ostentato cinismo, mascherato da realismo. Quelli sì, che trasformano l'essere umano in gregge anonimo e pericolosamente manipolabile.
La pecora non ha scelta, il lupo sì, dice Enrica. Ci vuole coraggio estremo, per scegliere di rifiutare la via più facile, quella della violenza e della prepotenza del più forte.
Ma è proprio in questa scelta, consapevole, coraggiosa e difficile, meglio ancora se compiuta autonomamente e non per imposizione di religione o ideologia precostituita, non per paura di castighi più o meno eterni, che sta la chiave per progredire, come singoli e come umanità.
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