Mi ha confidato di essere preoccupata che questa etichetta, "diritti umani", la sua stessa appartenenza ad Amnesty, finiscano per catalogare la sua scrittura in un'unica direzione, per far dimenticare gli altri elementi che la sua passione letteraria vi inserisce.
Vorrei rassicurarla, in questo: certo, il concetto di base è così importante, pesante come un macigno, un monumento solenne, perché no, un monolito...da lasciarci in soggezione, da assorbire l'attenzione. Ma poi subito anche gli altri aspetti emergono nettamente.
Lo stile, innanzitutto. Personalissimo. A volte non immediato, da richiedere una rilettura, che puntualmente fa risaltare il significato nascosto, anche profondo, anche choccante. Frasi brevi, come pennellate rabbiose per costruire quell'affresco in cui Enrica mette tutta la sua emozione, la sua denuncia. L'orrore non è mai minuziosamente descritto, ma semmai fatto intuire per molti implacabili accenni, per singole immagini. A volte persino ricostruito dalle cicatrici. E come capita nei migliori film "de paura", proprio questa indefinitezza colpisce allo stomaco, lascia un segno profondo.
Curioso come Enrica riveli che questa sua estrema, efficace sintesi nasca dalla sua modestia, dal desiderio di non annoiare troppo il lettore, di non tirarla per le lunghe.
E certo, siamo abituati spesso, in letteratura, ad autori che ci regalano pagine e pagine delle loro proprie personali sofferenze, che usano le parole un tanto al chilo, che ci annoiano senza riuscire a coinvolgere più di tanto. Proprio l'esatto contrario di Enrica.
E poi c'è la preoccupazione che non risalti abbastanza il proprio punto di vista femminile-femminista. Anche in questo, mi sento di rassicurarla (e stavolta, con una discreta punta di ammirazione e invidia). Se anche qualcuno può dirle "si vede che è scritto da una donna", è un apprezzamento, non un tentativo di sminuire o un'ombra di degnazione. Perché la sua scrittura mette in fila e in soggezione tutti, suscita rispetto, prescinde dai generi, pur conservando l'impronta e il punto di vista di una donna.
Del resto, sul ruolo della donna, su quanto sia imposto e quanto innato, sulle differenze dei sessi nel modo di pensare, nel comportamento, lei confessa di non avere le idee chiarissime, al contrario di altre "femministe" sbrigative che negano in toto come tali differenze esistano, o pensano che l'uguaglianza consista nello scimmiottare l'uomo, nell'avere i suoi stessi diritti, arroganze e privilegi, e magari, perché no, nel perpetuarne i più profondi difetti. Come Thanat Os, figura emblematica ed esasperata, madre oscura di Cronaca manichea. Non a caso riecheggia esattamente il greco thanatos, morte.
Ma questi dubbi non credo impediscano ad Enrica di avere le idee chiare su un altro punto: e cioè che le differenze innate fra i sessi, ammesso e non concesso che esistano, non devono essere pretesto per negare alla donna pari dignità e opportunità, come si fa, si continua a fare, e non solo il quel triste 75% di mondo povero e oppresso, ma anche, bellamente e impunemente, nelle cosiddette civiltà occidentali avanzate.
Mi dice che voleva costruire Cronaca manichea come un romanzo di archetipi. Forse quell'intenzione non si è realizzata completamente, forse con il tempo il suo progetto è un po' cambiato, ma ne rimangono tracce molto evidenti. La scelta dei nomi, innanzitutto: non è mai casuale, ma profondamente meditata, simbolica.
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