Patrick Hayden
Patrick Hayden
In realtà credo che questo sia quello che in fondo al cuore pensano molti degli spettatori di Star Trek: che è lì che apparteniamo. E questa è evasione, però io non credo che sia una cosa cattiva, un modo di sfuggire alla realtà: è un modo di conservare la speranza, di conservare un modello mentale, qualcosa in cui sperare. E allora quello che noi volevamo fare con il Premio Omelas era fornire un ponte, una specie di sintesi.

Patrick Nielsen Hayden, un editor di fantascienza americano che lavora per la Tor Books, qualche tempo fa scriveva quella che era la sua ideologia, la sua visione del mondo. Lo ha detto in modo molto bello e per questo lo cito. Parla della posizione avversa, e dice: "(Loro) fondamentalmente non credono nella capacità umana di conoscere il mondo in modo accurato e di ordinarlo razionalmente. Si parla insistentemente delle atrocità commesse nel nome di cause teoricamente razionali, perché questo cose possono essere addotte come prove che ogni tentativo di riordinare i rapporti sociali basato sulla ragione umana è condannato al fallimento.

Uno dei modi in cui si sono potute affermare questo genere di opinioni anche fra persone ragionevoli e di buon senso è il fatto che si offusca con artifici retorici la differenza fra l'umiltà di conoscere i nostri limiti intellettuali e morale (una qualità che ogni persona sensata sa che dovremmo coltivare) e la sfiducia radicale in ogni possibilità di progresso morale e intellettuale.

Questa posizione è fondata sulla convinzione che il progresso morale e intellettuale è semplicemente impossibile e che qualunque tentativo di migliorare il nostro mondo non può che avere motivi segreti e opportunistici o essere fatalmente ingenuo e quindi destinato a provocare più danni che benefici."

Questa posizione che solo casualmente è di una persona che si occupa di fantascienza chiarisce molto bene la differenza fra la critica alla scienza, che è necessaria, e che tanta parte della fantascienza svolge, e quella china pericolosa sulla quale abbiamo trovato tanta parte dei racconti che abbiamo letto di Omelas. E cioè quello di identificare nella scienza in sé la ragione ultima di ogni sciagura, la causa unica, più o meno, di ogni problema umano e della violazione dei diritti umani in particolare. Prendere questa strada è semplicistico e alquanto limitante e si finisce per prendere la posizione che Patrick Nielsen Hayden denunciava, ovvero offuscare con artifici retorici il giusto e necessario scetticismo, la conoscenza dei propri limiti morali e intellettuali e la convinzione che non ci possa essere progresso, che l'azione sia inutile, che il destino non possa che essere negativo, che qualunque cosa si faccia non avrà che un esito negativo.

Naturalmente chi ha visto nel Premio Omelas un propagandare un'ideologia in parte aveva ragione: Amnesty ha un'ideologia, quella che l'azione sia possibile, e che possa avere un risultato. Non un risultato garantito, perché non esiste una via che ci porterà sicuramente verso un mondo migliore, però non è nemmeno vero che la situazione sia immutabile, che non vi sia speranza e che la ragione non possa nulla.

Un'altra peculiarità di chi difende i diritti umani in questa prospettiva è che si crede che il relativismo non debba essere spinto sino all'estremo: qualunque posizione può essere criticabile, ma sono necessari dei punti di partenza. Il punto di partenza di Amnesty è morale: da come la vedo io noi abbiamo la convinzione, forse arrogante, che l'essere umano conti sempre più di qualunque principio ideologico, per alto e nobile che sia. Ci viene spesso rimproverato di non essere abbastanza consci delle differenze culturali, ma secondo me non possono venirci a dire che una violazione dei diritti umani è giustificata da un principio più alto, ad esempio non possono giustificare la punizione, in determinati contesti culturali, dell'apostasia con la pena di morte. Io ritengo che il diritto dell'apostata alle proprie opinioni debba prevalere su qualunque sistema di credenze.