Tenebra era il pianeta più schifoso della Galassia, senza dubbio. Circolava voce che tutta la sua superficie fosse oppressa da un tanfo simile al pesce marcio, che le sue paludi fossero piene di zanzare grandi come uccelli e che non ci fosse un centimetro di terra solida dove poggiare i piedi. Tenebra era un immenso, immondo acquitrino: una cloaca, una fogna, l'immondezzaio della Galassia. Si diceva che qualcuno ci avesse messo piede, una volta, ma io credevo che fossero solo fandonie messe in giro nelle bettole di qualche astroporto dai soliti bulli di turno, che millantavano coraggio ed esperienza per carpire credito e incarichi dai ricchi mercanti, oppure per truffare con il contrabbando di pezzi archeologici o altri affari poco puliti. Secondo me nessuno aveva mai perforato la eterna coltre di nubi che riveste quel pianeta come una seconda pelle: su Tenebra non c'era nulla che valesse il rischio di un atterraggio.
Oppure no?
Già, perché era normale che fossi colto dai dubbi, giacché mi avevano schiaffato in orbita stazionaria attorno a quella topaia senza alcuna spiegazione, in attesa di ulteriori ordini. D'accordo che ero poco più di una recluta, d'accordo che provenivo dalle province cosiddette barbare dell'Impero, d'accordo che un cadetto della Marina non doveva mai lamentarsi, ma io ero figlio di nobili Shprozji e noi della nostra stirpe siamo oltremodo orgogliosi. Noi abbiamo un rigido codice d'onore del quale ci abbeveriamo fin dalla culla; abbiamo usanze, riti, costumi che sono scritti nel nostro DNA come il colore degli occhi o della pelle, tradizioni che non abbandoneremmo per nessuna ragione al mondo.
E l'obbedienza alla suprema autorità riconosciuta, nel caso specifico l'Imperatore, è uno di questi principi fondamentali: perciò continuavo a girare attorno a Tenebra, irritato per il trattamento subito eppure in attesa di chissà che cosa. Inutile raccontarvi della noia totale ed estrema della quale ero preda, potete capirlo da voi. A volte pensavo che si fossero dimenticati di me, che in qualche ufficio della mastodontica burocrazia imperiale fossero andate smarrite le mie tracce e che, per questo, avrei finito i miei giorni come un satellite artificiale di Tenebra quando le provviste a bordo fossero terminate.
Ma non potevo venire meno agli ordini; e gli ordini mi imponevano di rimanere acquattato in orbita, senza mai tentare di comunicare in ultra-luce col Comando.
Passavo il mio tempo fumando sigari di Tagend, a fare le abluzioni di rito e pregare secondo il Canone Antico, libro sacro della setta alla quale appartengo.
Ho già detto che la burocrazia imperiale è una palude peggiore di quella di Tenebra, perciò non mi meravigliavo che nessuno avesse mai pensato di inserire un Canone Antico nell'equipaggiamento della mia navetta monoposto. Si sa, ai grossi papaveri non importa nulla dei problemi religiosi della truppa: ignorare questo genere di cose per loro è la norma; tuttavia, per mia fortuna, io non ne avevo affatto bisogno, perché ricordo i venticinque libri del Canone a memoria.
Fu proprio mentre un giorno recitavo la formula rituale del Guerriero a Riposo che l'allarme squillò.
Per qualche istante stentai a riconoscerlo, tanto ero abituato all'inazione, e quando mi resi finalmente conto che si richiedeva il mio intervento, le difese della navetta si erano già attivate automaticamente e lo schermo olografico si era illuminato.
La ricezione era pessima, ma riuscii lo stesso a capire quali erano gli ordini e iniziai le manovre di atterraggio su Tenebra.
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