La morte può attendere

Oggi purtroppo, James Bond corre il rischio di cadere sotto i colpi dello stesso meccanismo industriale che ne ha decretato lo status di icona contemporanea.

La morte può attendere, diretto da Lee Tamahori, arriva infatti sullo schermo dopo un decennio e passa di film ad alta tecnologia visuale, destinati al pubblico giovanile. Come può fare concorrenza a Lara Croft, Blade, gli X-Men e XXX, cioè i suoi cloni aggiornati al XXI secolo?

Il nuovo Bond per le sale contiene la soluzione meno adeguata al problema. Capovolgendo il presupposto di partenza, lo si trasforma in eroe per ragazzi che si credono già adulti solo perché sanno usare la playstation e il cellulare, navigano in Internet e si preparano ad assimilare nel loro metabolismo ogni nuovo gadget preparato per loro da un mercato di vecchi, gerontocratici, marpioni. Mentre arriveranno a compilare la prima dichiarazione dei redditi non prima dei quarant'anni, fra lavoretti interinali negli ipermercati e nelle ditte di pulizia, i McJob, dottorati di ricerca e concorsi a non finire. Per la generazione X alla potenza sfigata, ecco uno 007 dark, sadomasochista, capace di arrestare il battito cardiaco per evadere da un'infermeria, e sudato a letto quando fa l'amore. Uno che subisce torture da lager e non rinuncia allo spirito di patata, che duella di scherma come lo Zorro di Douglas Fairbanks nonostante il fegato distrutto dai vodka-martini agitati non mescolati, che nuota sotto una crosta di ghiaccio senza neanche uno starnuto, dopo.

La morte può attendere è fatto in gran parte di citazioni da pellicole che erano a loro volta citazioni di Bond. Si vedano, in particolare, True Lies, del 1994, di James Cameron, e tutte le trasposizioni dei libri di Tom Clancy (Caccia a Ottobre Rosso, Giochi di potere, Sotto il segno del pericolo, Al vertice della tensione, insieme ai materiali acquisiti dai videogiochi e dai fumetti.

Una volta si andava al cinema per vedere l'ultimo film di 007, aspettandosi e trovando ciò che non si vedeva da nessun'altra parte. Adesso tutti i film sembrano di 007. Quello vero non si distingue più.

Neal Purvis e Robert Wade, gli sceneggiatori de La morte può attendere, dànno l'impressione di non aver visto neanche per intero gli altri capitoli del ciclo. Già in Il mondo non basta avevano dimostrato di voler concentrare tutti i possibili luoghi comuni di Bond: l'inseguimento con gli sci, la scena del casinò, il covo hi-tech dei cattivi. Con La morte può attendere la semplificazione si fa più accentuata. Inutile cercare brandelli di trama nel succedersi adrenalinico di fatti dai risvolti spettacolari.

All'inizio, James Bond viene catturato dai nordcoreani perché qualcuno del servizio segreto lo ha tradito. Gli spettatori minorenni ululano per la sequenza che precede i titoli di testa, in cui 007 e i suoi arrivano su una spiaggia della Corea del Nord su tavole da surf. Non sarebbe stato meglio paracadutarsi da un caccia stealth?

Più si va avanti nella storia, meno si capisce che bisogno c'è di raccordare le azioni sempre più inverosimili con dialoghi oramai inusitati perfino nei fumetti. Il che, peraltro, contrasta di netto con una cupezza di fondo non priva di risvolti estremi. C'è un padre che viene ucciso dal figlio, e non pare moralistico pensare che di qua dello schermo ci saranno anche i coetanei di Erika e Omar.