La notte si agita nei corridoi e negli uffici della struttura ribollente di luci e di allarmi. Quattro barche escono dal buio speronando la passerella di legno. Saltano giù una ventina di persone, armate di mazze, pesanti bastoni e coltelli, corrono verso la costruzione principale. Colpi e schianti, porte di ferro e vetro cedono con fragori spaventosi. Qualcuno del personale prova a mettere mano alle armi ma viene travolto. Esplodono i monitor con tonfi rintronanti. Con i coltelli alla gola vengono interrogati i prigionieri: dove sono i pazienti? Intanto viene scoperto il laboratorio pieno di computer. Tutto salta tra bagliori, colpi sordi, schianti, grida, urla. In sala operatoria si spaccano le attrezzature sofisticatissime e in breve tutto è ridotto a una montagna di rottami. Alcuni degli invasori si precipitano alle vasche e squarciano cancelli, ringhiere, muretti. Gli animali annusano timidamente la libertà.

Flane è in punta sull'unica seggiola ancora integra e minaccia l'assistente biondo tenuto fermo da braccia robuste:

- Dov'è il professore! Parla! Se no ti spacco la testa! - E fa segno con la mazza.- Dove sono gli esperimenti, i pazienti? Questa il professore me la pagherà. E' andato oltre ogni limite. Non eravamo d'accordo così. Non lasciamocelo sfuggire.

Scruta un piccolo monitor arrabbiata:

- La spilla se l'è portato via!

Alzandosi in ginocchio dal fango con le mani tremanti davanti al viso il professore cerca i sui assistenti. Raccoglie la torcia dalla melma e scruta i loro volti contorti dal dolore. Si avvicina faticando per esaminare la macchia viola che si sta allargando sugli zigomi di quello immobile riverso.

- Curaro. - Si tocca il viso tremante di furore. - Curaro! Dobbiamo prendere l'antidoto. Immediatamente! Alla clinica!

Uno dei due prova a muoversi ma ricade con un rantolo.

Il professore si trascina verso l'acqua, e riesce appena a nuotare e con piccole bracciate prende il largo.

Ho lasciato gli odori delle piscine di terra e ora vago negli stagni aperti ricchi di erbe che mi strusciano la pancia. Mi rannicchio nel buio e nelle acque calde odorose di alghe. Le canne accarezzano le squame dei fianchi. Non conosco la mia menomazione e le viscere anelano in avanti verso qualcosa che muove l'acqua nel buio. Tutti i sensi focalizzano la preda e la coda spinge automaticamente. Gli impercettibili battiti sull'acqua sono più vicini. Le mie narici attraversano una scia di calore e di odore di vita. La coda vira dentro la pista sempre più intensa. Un movimento tocca le fauci che subito si spalancano mentre la coda spinge distruttiva in avanti. Arti e movimento convulso. Sotto l'acqua un turbine furioso. Nel fango muore ogni resistenza. Riconosco il calore e l'odore del sangue.

Raggiungo un branco che vaga annoiato nel buio.

Scorgo soltanto lontane colline emergenti scure da acque di piombo. Nessuna luce o chiarore mi attira, non capisco le stelle brillanti in silenzio. Non so i miei giri dove finiscano, dove portino questi umidi stagni, questi incantati canneti sempre uguali. Fermo la barca e immergo nel buio la mano nel liquido nero. E' questo il mio mondo. Qui aspetterò l'alba nel fondo accogliente, tra i legni. Arriverà presto una donna a chiamarmi, a prendermi via con se. Si calma il respiro e si allontana la palude.

Flane incita gli altri a imbarcarsi e andare. Scendono di nuovo il pontile e saltano sui legni mentre partono i motori e il convoglio si muove. Si voltano indietro scrutando le luci e le strutture danneggiate. La donna prende in mano un orologio e lo tiene davanti a se. Attende paziente con gli occhi fissi al quadrante. L'unico ronzio lontano è quello dei generatori. I volti sono attenti alla palafitta che si allunga sulla palude. Uno sbuffo di fumo azzurro, una piccola esplosione fanno spegnere le luci e tutto precipita nel buio e nel silenzio.