Conclusi che io ero sì morto fisicamente e con ciò avevo realmente perso ogni contatto con il mondo materiale, ma la mia mente o anima s'era in fretta ricostruita un modello fittizio e simbolico della Nuova Realtà per continuare ad attribuire dei significati logici a ciò con cui interagiva; se non avesse agito così sarebbe certamente impazzita; se non si fosse convinta che ciò che era esterno a sé fosse dotato di significati riconoscibili avrebbe necessariamente perso anch'essa di senso, e per una mente iniziare a difettare di senso equivale ad impazzire. Quindi, per poter davvero sopravvivere alla morte, una mente doveva in fretta ricostruirsi un quadro della realtà plausibile e gli unici parametri disponibili per fare ciò erano quelli relativi alla vita terrena.
Quindi ebbi la certezza che tutto ciò che mi circondava, o meglio, che circondava il mio pensiero, compreso il mio corpo, fosse in realtà un'invenzione o, più precisamente, una proiezione della mia mente.
Non che a questo punto qualcosa mi sembrasse meno reale di prima; anche i pizzicotti con cui mi flagellavo nel vano tentativo di svegliarmi erano dolorosamente reali! Ma è certo che il sapere che ciò che io avvertivo esistere fosse in realtà così relativo mi getto in uno stato di stupore e di smarrimento. Con che coraggio mi sarei ora guardato allo specchio sapendo che ciò che avrei visto in realtà non esisteva, o almeno, non in quei termini?
La morte mi parve così un fatto strano e misterioso anche dal di dentro. Poi ebbi una folgorazione: la Realtà in cui ero immerso non si distingueva poi granché da quella di quando ero stato vivo... Che anche la vita fosse stata un fatto non del tutto reale? Iniziai a provare una strana ansia. Forse non c'era differenza tra la vita e la morte... Smisi di riflettere. Era forse la cosa più saggia che potessi fare. Mancava qualsiasi punto fermo e mi sarei solo confuso ulteriormente. Quindi passai ad una questione più concreta e scottante: esisteva Dio? Dovevo scoprirlo!
Nella stanza in cui mi trovavo c'era una sola porta. Mi feci coraggio e bussai. Una voce mi disse:
- Avanti!
Entrai. Era un ufficio con un'imponente scrivania ricoperta di scartoffie, da dietro la quale un signore anziano un po' pelato con folti basettoni bianchi e due occhialini tondi sulla punta del naso mi guardò con aria stanca. Una targhetta sullo spigolo della scrivania recava scritto: - Ragionier San Pietro - .
Ne rimasi considerevolmente sconcertato.
- Si accomodi, prego! - mi invitò il signore, indicandomi una poltroncina di fronte a sé. Io lo feci. Poi, in un guizzo di follia, azzardai a chiedergli:
- Siamo... siamo in Paradiso... uh?
- Praticamente. - rispose calmo il signore - Ha il Passaporto?
Allibito annuii e glielo porsi. Lui lo scrutò a lungo, sfogliandolo per intero ed umettandosi le dita tra una pagina e l'altra. Poi prese alcuni timbri, parve concedere dei visti o qualcosa del genere, riempì un protocollo, armeggiò intorno ad un computer, fece una telefonata, quindi sorrise, mi indicò una porta e disse:
- Può accomodarsi.
Con una certa titubanza eseguii ed entrai in un ufficio molto più ampio e lussuoso, con tappezzeria a triangoli fluorescenti. Ce l'avevo fatta! Il Passaporto Celeste era valido. In fondo in fondo non l'avevo mai creduto possibile.
Un uomo si alzò da una scrivania che stimai di opale e mi venne incontro. Mi porse la mano ingioiellata ed io feci per presentarmi.
- Sono... - iniziai.
- Lo so già! - rispose lui - Io invece sono Dio.
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