- Gesù Cristo? - ero sbigottito - Ma lo diceva anche prima di morire...
- Cosa vuol saperne Lei? Cristo è morto per la prima volta a trent'anni, non a trentatré! Cirrosi epatica. Poi Mi sono lasciato convincere e l'ho lasciato tornare sulla terra, ma è durato poco e così anche la seconda volta, quella della croce, non aveva il corrispondente di allora delle azioni per il Paradiso...
- Ma dopo tre giorni è risorto...
- E' scappato! La prima volta l'avevo fatto risorgere Io e lui se l'era tenuto per sé, ma la seconda volta è fuggito ricordandosi dov'era il passaggio segreto e ha cercato di sputtanarMi. Ma l'ho ripreso subito. E cacciato all'Inferno.
- Ma è su quel fatto che si è poi evoluta la chiesa Cristiana...
- Ha capito perché non devo fare eccezioni? Errare divinum est, sed perseverare umanum est. Che il Diavolo Mi porti se commetterò una seconda volta lo stesso sbaglio! Ed ora, se vuole farmi la cortesia...
- Sì, sì! Mi devo accomodare all'Inferno!
- Bravo! Sta diventando perspicace. Si vede che il contatto con Me la matura!
- No. Lo sapevo anche prima! - ormai non avevo più niente da perdere - Ma facevo il tonto per durare più a lungo alla Facciaccia Sua!!!
- Ah sì, eh?! - diventò tutto rosso. Avevo fatto incazzare Dio. - Blackie! Carmelo!
Due nerboruti angeli buttafuori entrarono con passo pesante da una porta. Mi impacchettarono ben bene e mi caricarono su un vagone di un treno merci pieno di bestiame. Vidi molte mucche. Poi, per la puzza, persi conoscenza. Mi risvegliai all'Inferno.
L'Inferno era un posto pieno di luci al neon sul soffitto. Stavo avvitando un bullone. Poi ne avvitai un altro. Poi un altro ancora. Continuai ad avvitare bulloni guardandomi moderatamente intorno. Ero alla catena di montaggio di un'immensa fabbrica.
La prima pena che ebbi a patire fu quella dei colori. C'erano solo il bianco e il grigio. E a me piacevano tutti gli altri. Ce n'era già abbastanza per urlare di dolore cosmico, ma dieci minuti dopo mi ero già abituato e non ci pensai più.
La seconda pena che ebbi a patire fu quella della fame. Lo stomaco richiedeva cibo che la bocca non era in grado di offrire. Poi ci portarono tutti al ristorante e non ci pensai più.
La terza pena che ebbi a patire fu quella del fuoco. Dopo pranzo ci stava bene una sigaretta ma nessuno aveva da accendere. Comprammo un accendino da un marocchino e non ci pensai più.
Un mattino - erano passati molti lustri... o giorni, non ricordo - feci conoscenza con il mio vicino di catena di montaggio. Era un tipo dai lineamenti marcatamente anonimi. Si chiamava Hans. Era svizzero... o somalo, non ricordo.
- Hans, - mi disse (in quel periodo ci chiamavamo un po' tutti Hans) - ti ricordi di Hans?
- Sì, Hans. - risposi. La cosa parve finire lì. Ma un altro bel giorno - credo - accadde che approfondimmo la questione.
- Hans! - stavolta fui io a dirlo a lui - Che cosa ne pensi dell'Inferno?
- Non è malaccio! C'è di peggio. - rispose Hans con quella che a me parve o diplomazia o stoltezza.
- Cosa - c'è di peggio - ? - chiesi io.
- Beh, per esempio il Paradiso.
- Il Paradiso?!
- Hmmm, già! E' noioso uguale, ma in più e dannatamente pericoloso. - affermò Hans.
- Pericoloso? E perché? - mi sembrava strano.
- Corri costantemente il rischio di venire sbattuto all'Inferno.
- Mi vuoi prendere in giro? - controbattei offeso - Come puoi sostenere una cosa del genere?
- Lo so. Io ero in Paradiso. - argomentò lui, candidamente.
- Eh?
- Già. Poi un giorno ne ho avuto abbastanza e sono venuto qua.
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