Due settimane a dieci anni.
Ankara. Prigione Centrale.
- Preparati, hai visite e cerca di stare in piedi da solo.
Questa volta gli avevano fatto mettere le scarpe ma le riempì subito di sangue. Però non lo portavano dal giudice. In parlatorio c'era Nevruz. Nevruz e Eren.
- Mamma, dov'è papà?
- Non lo riconosci?
Nevruz della frase si pentì subito. La bambina aveva ragione. Anche lei, magro così, Ilker non lo aveva mai visto. Neppure all'ospedale quando si era ammalato ai polmoni. E non avrebbe potuto spiegare perché lo avesse riconosciuto ugualmente.
Tentò di raccontarsi una bugia qualsiasi nel vederlo camminare così male, ma non ci riuscì. Senti le lacrime salire a bruciarle gola e occhi. Lo voleva a casa. Era stupido e testardo. E straordinario. Lo voleva a casa. Per poterlo amare.
Eren guardò i soldati dallo sguardo vuoto e duro, contemplò le pareti brune e la rete fitta oltre la quale c'era papà. Papà sorrideva, ma la mamma era molto arrabbiata. Eren non capiva.
- Perché hai fatto tutto questo per poterci vedere? Sei pazzo. Potrebbero prendere Eren, adesso sanno che ci tieni tanto... potrebbero...sai cosa è successo a Mehir?!
Ilker si ricordava di Mehir. Mehir aveva quattordici anni quando era stato arrestato e processato per appartenenza ad un partito d'opposizione! Era stato torturato. All'udienza si vedeva. Torturato a lungo. Un bambino spaventato insieme con altri bambini e bambine spaventati. L'idea d'esser costretto a veder torturare Eren lo fece contrarre. No, mille volte ancora a lui, mille volte, ma non a... Nevruz aveva ragione. Eppure... come fingere di non amare Eren? Non ne era capace. Forza per lui, debolezza di Nevruz, che prima, prima di avere Eren, dalla paura non si era mai lasciata fermare. Eren. Il suo piccolo sole. Si lasciò rimproverare, ma ad Eren sorrideva.
- Hai visto? Ti avevo assicurato che saremo stati insieme per il tuo compleanno...
- Ho fatto un disegno per te ...
Eren accostò il foglio alla rete senza premere.
- E' bellissimo. Il regalo avrei dovuto però fartelo io. Il maestro continua a sgridarti perché disegni sempre?
Non la stava rimproverando. Aveva gli occhi ridenti. C'era stato un tempo in cui Ilker aveva passato ore a disegnare cose e storie per Eren.
- A casa quando torni?
- Forse...
- Non raccontarle bugie Ilker, non raccontargliene.
E Ilker guardando Nevruz socchiuse gli occhi, senza sorridere più.
- Non lo so, piccola mia, non lo so.
Ed Eren aveva perciò incominciato ad urlare:
- Dillo, dillo che saremo insieme per il mio compleanno. Dillo! Dillo! Le profezie si avverano. Si avverano sempre. Dillo! Saremo insieme.
- Mancano due settimane al tuo compleanno. Ci sono voluti mesi per ottenere questo incontro di oggi.
Non disse mesi di botte, di minacce rigettate in faccia ai suoi aguzzini. Mesi di fame e di proteste. Di lettere uscite in segreto. Di denunce all'opinione pubblica internazionale. E per questo di nuovo colpi e altro che avrebbe voluto non ricordare.
Ma Eren continuava ad urlare e Nevruz aveva paura e la stava trascinando via.
Ilker pensò al prezzo che aveva pagato per quei pochi minuti di parlatorio. Ma ci avrebbe riprovato subito.
Ankara. Prigione Centrale.
Lo avevano gettato sul pavimento. Nella stessa notte (ma era notte? Dal giorno dell'arresto, nella cella, la luce non era mai stata spenta) erano venuti a prenderlo già tre volte. Con rabbia e metodo.
Aveva di nuovo davanti la parete con il nano e gli elfi. Voltandosi faticosamente riuscì a guardare anche la parete d'angolo. Non si era accorto prima che la costa, frastagliata come quelle scandinave, continuava; e sul mare, proprio sopra il mare, volava una bestia gigantesca con una protuberanza sul dorso. Volava alta sulla costa. Sembrava un gufo grigio e bianco con qualcosa addosso. Una gobba. No, troppo sottile. E sembrava avere braccia. Un uomo magro. Forse anche l'uomo della macchia non mangiava da giorni. Ma volava ed era di sicuro più felice. Chissà se aveva un figlio da amare tanto... Scrutò le macchie intorno. Peccato non ci fossero altri animali sul mare.
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