- E l'avevano persa quelli?
- Tirando a indovinare, sì. Non creda a quello che dice il barista sul tizio che getta i bambini sulla strada. In città tutti dicono che sono superstizioni.
- Superstizioni? - , squittì il barista tornato dietro il bancone. - Lo avete appena visto. Quella era la sua macchina!
- Abbiamo visto una fica, razza di coglione! - , ringhiò il primo viaggiatore della notte. - E gli zingari le stanno volando dietro per farle la festa.
- Voi...voi siete...
Ma il barista non ebbe il tempo di ultimare la frase. La porta si aprì nuovamente per far entrare un nuovo - il terzo - cliente di quella notte, un ragazzo magro e pallido con i capelli completamente intrisi d'acqua. E lo sgomento negli occhi.
- Buona sera - , disse con voce incerta, ma bene impostata. - Qualcuno può darmi uno strappo in città?
- Per me non è serata - , rispose asciutto colui che aveva raccolto la cocaina. - In verità mi piace viaggiare da solo.
- Già, le stive sono piene, vero? - , lo apostrofò l'altro. - Se carichi qualcuno, corri il rischio di spartire.
- Vuole la sua parte?
- Fottiti. Per colpa di quella roba, a momenti ci ammazzano. E mi hai fatto credere di avere investito anche tu un essere vivente.
- Io non posso portarti in alcun luogo - , sbottò il barista. - Io vivo qui, per la miseria.
Pareva un trio di pazzi. Il ragazzo, da poco uscito dall'incubo, si sentì vacillare.
- Non preoccuparti - , gli rispose quello che gli sembrava più sano di mente. - Ti carico io.
- Posso prima avere un caffè doppio?
- Potete restare qui fino all'alba - , diceva meccanicamente il barista, armeggiando vicino alla macchina del caffè. - Codalunga è da questa parte.
- Io vi saluto.
Il raccoglitore di coca uscì. Nessuno gli aveva risposto.
- Perché non lo ferma?
- Non m'interessa.
- Il mio caffè, per cortesia.
- Dai, bevi. Mi sono rotto di questo posto.
L'incubo non era finito.
Quegli uomini si parlavano addosso. Sembravano invasati. Alludevano a cose che non appartenevano al mondo reale. Parlavano di code lunghe, di cocaina, di stive piene e di spartizioni. Soprattutto, indirettamente, parlavano di paura.
Il ragazzo, di paura, ne aveva ancora da vendere.
9.
Ebbe inizio il viaggio verso l'inferno. L'ultimo girone, il decisivo. Al ragazzo quel tipo pareva forte e positivo, pur se preda di quella fobica forma di angoscia che caratterizzava la gente dell'autostrada. Così, per la terza volta in quella notte, il giovane frugò nella sua mente per trovare un qualsiasi pretesto al dialogo. Ma fu una vana ricerca, appesantita dal fatto che l'uomo alla guida sembrava preferire un viaggio silenzioso. Per una trentina di chilometri nessuno li sorpassò. Nessuno dei due proferì parola. Unica compagnia e sconfortante contraltare, il caos assoluto sull'altro lato dell'autostrada, dove automobili a migliaia consumavano con esasperante e tragica lentezza l'ultimo e disumano rituale che i giornali di un decennio prima definivano - esodo - e che i giornali dell'oggi non definivano proprio più.
Poi, d'improvviso, oltre una leggera curva, piazzata di traverso sulla corsia d'emergenza comparve la BMW dei nomadi e il ragazzo sentì per l'ennesima volta le viscere contrarsi. L'uomo accostò qualche metro più avanti e, smontando dalla vettura, ingiunse al ragazzo di non muoversi. Corse verso la BMW, gettò un'occhiata all'interno e tornò subito indietro, lo sguardo esangue.
- Che cosa è successo? - , chiese il ragazzo.
Il sangue ruscellava sul parabrezza dell'auto di Billy Nolan. Chi aveva scritto quel profetico racconto?
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