Getto via il mantello prima di arrivare nelle mie stanze. I costrutti si avvicinano, solo pezzi d'arredamento, ingranaggi perfetti della scenografia; non posso fare altro che scacciarli, rappresentano una sconfitta.
Un'ora, due, poi sento i suoi passi, inconfondibili. Sento la mia ira montare come una marea, catalizzata dalla sua vista.
- Ti prego. - La voce di Tangi è come il ronzio di un insetto. - Non perdere tempo ad arrabbiarti. Sono molte le cose che non sai di questa città. E di me.
- Un'estranea. E' questo dunque quello che sei realmente? Tangi, ti ho dato tutto...
- Solo tutto quello che hai potuto e niente di più, ma non per colpa tua.
Il panorama sembra agitarsi, ribellarsi al mio tentativo di coagularlo in qualcosa di coerente. E Tangi, che in piedi davanti a me sembra diventare trasparente, priva di spessore.
- Un rimprovero è l'ultima cosa che pensavo di ricevere. Ti rendi conto che il tuo comportamento può distruggerci? Sai bene che i costrutti non possono uscire da Shangrila; la gente non li ha accettati in decenni di storia, ne ha paura, e ora tu credi di poter fare il contrario? Sei un'irresponsabile, ci sono leggi precise e le rappresaglie in questi casi...
- Sono anch'io un costrutto, una finzione. Cioè niente. E non ho la possibilità di sfuggire a questo.
Sollevo lo sguardo, sorpreso. - Che dici?
- Matias, ti hanno insegnato a scappare dalla vita, a nasconderti dietro a queste mura. Noi invece abbiamo imparato ad ascoltare, ad assorbire i sogni della gente, città dopo città; sono diventati i nostri, fanno parte di ciò che siamo perché mentre tu, Ariel e Zhang Hua ve ne state chiusi nei palazzi, noi parliamo con la gente, viviamo, più di quanto tu possa dire di aver mai fatto.
- Io c'ero prima della tua generazione, e ci sarò anche quando di te resterà solo il ricordo. - Le mie mani tremano, la voce trema. Non riesco a mettere nelle parole l'asprezza e la violenza che vorrei. - Ho visto i tempi cambiare, gli stati scomparire nella polvere e città stato alzarsi dalle macerie; sono nato e morto un'infinità di volte e voi, rispondimi, cosa potete raccontare di aver visto che possa giustificare la trasgressione delle nostre regole?
- Il desiderio, Matias. Il desiderio altrui visto attraverso la patina di perfezione che avete preteso di darci. E tu, sai cosa vuol dire desiderare la vita? E' accaduto qualcosa con la malattia, siamo cambiati; alcuni sopravvivono, non so perché, e decidono di provare ad essere altro che comparse. Rabat, Shanghai, Toronto... In ognuna di queste città c'è qualcosa di noi, un piccolo seme, per ora.
Lotto contro me stesso, per impedire che la mia rabbia si acquieti, che le sue parole diventino certezze. Ma la sua fermezza, l'espressione sempre dolce, senza astio, prosciugano ogni mia volontà.
- E la bambina? - controbatto debolmente. - Non potete riprodurvi, come avete fatto?
- Ti ho detto che la malattia ci ha cambiato, alcuni di noi almeno. Le mutazioni che ci sconvolgono da anni hanno prodotto ferite profonde, e regali inaspettati. Volevate delle copie perfette, capaci di riprodurre ogni istinto umano, la curiosità, l'ironia, il pensiero... Be', in mezzo deve esserci finito anche dell'altro. Il nostro seme che pensavate utile dettaglio è diventato fecondo, e abbiamo scoperto che può nascere qualcosa anche fuori dalle vasche nutritive e dagli schemi sintogenici dei vostri tecnici.
E' l'emozione di un istante. Il sipario che schiude l'ultimo guizzo di una lunga vita. - Se qualcuno sapesse... Vi darebbero la caccia, distruggerebbero Shangrila, non potremmo opporci.
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